Come le celebrità hanno cambiato il volto della solidarietà

In un mondo sempre più connesso, dove i social media amplificano ogni gesto e parola, il fenomeno del celebrity humanitarianism sta emergendo come mai prima d’ora. Che si tratti di abbracciare cause ambientali, sostenere i diritti umani o promuovere campagne di beneficenza, le celebrità non sono più solo icone di stile o intrattenitori: sono diventate ambasciatori globali per il cambiamento. Ma quanto di questo impegno è davvero mosso da intenti filantropici? E quanto invece risponde a esigenze di costruzione del brand personale e di visibilità? La linea tra il genuino impegno umanitario e il marketing emozionale si fa sempre più sottile, alimentando una discussione che merita di essere esplorata.

Alle radici del celebrity humanitarianism

Era il 1985. Nelle città di Philadelphia e Londra, milioni di persone si riunirono per assistere al concerto che vide esibirsi alcuni dei più grandi nomi della musica mondiale, con un unico scopo: raccogliere fondi per le vittime della carestia in Etiopia.

Live Aid

Fonte: Medium

Il Live Aid riuscì a raccogliere 125 milioni di dollari di donazioni, dimostrando così l’enorme potere della cultura popolare di generare un impatto sociale concreto, e passò alla storia come una delle iniziative più riuscite di celebrity humanitarianism. Con questo termine ci si riferisce all’impegno delle celebrità nel sostenere cause umanitarie, spesso attraverso attività di beneficenza, advocacy e sensibilizzazione. Le celebrità fanno leva sul loro capitale economico e di status per “stimolare azioni di fan activism e creare così un’esperienza di cittadinanza che trascende i confini nazionali” (Mitchell, 2016).

A partire dagli anni ‘80, le celebrità cominciano quindi a diventare il volto delle organizzazioni internazionali, arrivando ad essere associate con i problemi oggetto del loro interesse (basti pensare alle campagne contro l’AIDS del cantante Bono Vox). Tra di loro, una delle personalità più attive è Leonardo DiCaprio, fiero sostenitore della causa ambientalista e difensore delle comunità indigene. Il suo impegno come celebrity humanitarian comincia nel 1998 con la nascita della Leonardo DiCaprio Foundation, e diventa sempre più concreto con la produzione di documentari e la partecipazione a numerosi summit internazionali, incluso il discorso alle Nazioni Unite nel 2016 in occasione della firma dell’Accordo di Parigi (Pulver, 2023).

Leonardo DICaprio delivers a speech at the UN

Fonte: Linkiesta

La capacità di DiCaprio di impersonificare la causa dell’ambientalismo gli ha inoltre permesso di produrre Don’t Look Up, film che utilizza una cometa distruttiva come metafora per il cambiamento climatico, mettendo a nudo la superficialità dei media, l’inerzia politica e l’indifferenza collettiva di fronte a questa crisi globale. Questo esempio dimostra come le cause umanitarie siano progressivamente entrate all’interno del sistema di contenuti, iniziative e relazioni che le celebrity devono mantenere in piedi per essere riconosciute e che partecipano attivamente alla costruzione del loro brand (Kapoor, 2013).

Don't Look Up

Fonte: Netflix

Muoversi in un campo minato

Nonostante l’impegno umanitario delle celebrità sia caratterizzato da tanti lati positivi, è ancora aperta la discussione circa il reale impatto e la necessità di tale pratica, specie per le organizzazioni umanitarie. La critica che più spesso viene addotta a queste iniziative è che il celebrity humanitarianism rappresenti un’ideologia che legittima il capitalismo e l’iniquità globale, dato che le celebrità sostengono il sistema neoliberale che mantiene in piedi le diseguaglianze.

Inoltre, vi sono altre criticità che le ONG dovrebbero considerare (Kapoor, 2013):

  • Il desiderio di autopromozione delle celebrità, che sono interessate a promuovere se stesse prima che le cause umanitarie di cui si fanno sostenitrici, perché dal riconoscimento dipende la loro sopravvivenza.
  • Promuovere un ordine post-democratico: le celebrità vengono chiamate a parlare all’interno di contesti politici e istituzionali per cui non hanno nessuna competenza né mandato.
  • Infine, l’utilizzo di celebrità viene associato alla retorica dell’uomo bianco e ad iconografie problematiche che si basano sulla riconoscibilità del personaggio. Se non inserite all’interno di una cornice comunicativa adeguata, queste pratiche potrebbero facilmente ricordare atteggiamenti tipici dell’epoca colonialista, in cui l’interesse verso le problematiche umanitarie era mosso da una presunta superiorità morale dell’Occidente rispetto al resto del mondo.

Fonti bibliografiche e sitografiche

  • Kapoor, I. (2013). Celebrity Humanitarianism: The Ideology of Global Charity. Londra: Taylor & Francis Ltd.
  • Maher, Thomas V., ‘Fans and Fan Activism’, in Deana A. Rohlinger, and Sarah Sobieraj (eds), The Oxford Handbook of Digital Media Sociology (Oxford Academic, 8 Oct. 2020), DOI: 10.1093.
  • Mitchell, K. (2016). “Celebrity humanitarianism, transnational emotion and the rise of neoliberal citizenship” Global Networks, pp.288-306.

Pulver, A. (2023, 6 ottobre). “Hollywood ending: could Leonardo DiCaprio’s activism prove his role of a lifetime?” The Guardian.  Link