La Riforma Silenziosa di Trump

Neutralizzare il progresso

A cura di Enrico Marinelli

Una riforma dalle conseguenze gravi
Da sempre gli Stati Uniti si proclamano come simbolo universale della democrazia, un faro di libertà e diritti civili. Eppure, durante l’attuale amministrazione Trump, il paese ha adottato una strategia di comunicazione che ha minato proprio quei principi: la cancellazione mirata di alcuni termini dai comunicati ufficiali, un’azione apparentemente innocua, ma devastante per la libertà di espressione.

Ad essere colpiti da questo processo sono stati il cambiamento climatico, la sostenibilità, l’inclusività e la giustizia sociale con l’abolizione di alcuni termini dal lessico istituzionale. Questa manovra allontana l’opinione pubblica dal confronto e dalla discussione, gettando nel dimenticatoio le questioni d’importanza sociale. Infatti,  quando i problemi pubblici di tale importanza non vengono più nominati si ha la convinzione (secondo una logica fallace) che cessino di esistere. In realtà, si tratta di una riforma linguistica che funziona come uno strumento di deresponsabilizzazione rispetto alle grandi sfide del nostro tempo, prima fra tutte quella ambientale.

Le conseguenze sono gravi: negare l’esistenza del cambiamento climatico nelle comunicazioni ufficiali ostacola la consapevolezza pubblica e rallenta le azioni necessarie per contrastarne gli effetti. Nonostante questi siano già evidenti: eventi meteorologici estremi, perdita di biodiversità, crisi idrica e migrazioni forzate. Senza un linguaggio che permetta di nominare e analizzare questi fenomeni, diventa impossibile affrontarli collettivamente.

Purtroppo oggi questo fenomeno politico di dirigismo linguistico sembra essere contagioso, infatti non si limita agli Stati Uniti. Come già discusso nella nostra rubrica di comunicazione politica, anche in Italia si è assistito all’eliminazione di forme linguistiche inclusive, mentre in Argentina il governo Milei ha ufficializzato l’uso di termini desueti per descrivere condizioni mentali e disabilità: idiota, imbécil, débil mental. Un’operazione che va oltre la semplice regressione terminologica: è un aggiornamento istituzionale che normalizza la discriminazione e disumanizza intere categorie sociali, erodendo i diritti e la dignità di milioni di persone.

Ma perché tanto accanimento sul linguaggio?

Perché le parole non sono semplici strumenti descrittivi bensì fungono come indicizzatori. Eliminare e/o rimpiazzare alcuni termini impedisce lo sviluppo di scenari narrativi che plasmano la realtà e orientano il pensiero. Senza il termine biodiversità, come possiamo discutere della crisi ecologica che minaccia la vita sul pianeta? Senza equità e inclusione, che significato può avere la giustizia sociale?

Vale la pena ricordare che il controllo del linguaggio come strumento di manipolazione non è un’invenzione contemporanea. Ma è stata la forma di inaugurazione di ogni regime autoritario, certo, oggi si presenta sotto una veste più discreta ma nasconde ugualmente la paura del confronto ed è un esercizio di potere utilizzato per soffocare il dissenso.

In un mondo alle prese con emergenze ambientali, sociali ed etiche, difendere il linguaggio significa difendere la possibilità di costruire un futuro giusto e sostenibile. Se non possiamo più dire crisi climatica, come possiamo salvarci da essa?