La Città dei 15 minuti

a cura di Michelle Guzzo

La pandemia da Covid-19 ha portato alla necessità di rivedere gran parte delle nostre abitudini, in particolare a livello sociale, costringendoci al distanziamento e al confinamento, con l’obiettivo di minimizzare i rapporti e i contatti interpersonali. Tali restrizioni, totali o parziali, stanno difatti avendo un forte impatto sul modo in cui viviamo la socialità, cambiando le modalità di accesso al lavoro, al cibo, all’educazione, alla cultura e al tempo libero. In poco tempo, le nostre case si sono trasformate in uffici e aule didattiche; le strade si sono svuotate, mutando completamente il nostro rapporto con le città.

Pochi mesi prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, lo scienziato Carlos Moreno aveva presentato in una Ted Talk il prototipo della città del futuro, introducendo il concetto di “Città dei 15 minuti”, cioè quartieri in cui i servizi necessari all’alimentazione, all’istruzione, al lavoro e al divertimento sono raggiungibili dai cittadini in poco tempo, a piedi o in bicicletta.

Questo nuovo modo di concepire e organizzare le città, gli spazi urbani e lo stile di vita dei cittadini è stato accolto con entusiasmo, poiché in grado di conciliare l’ottimizzazione dei tempi, la tutela dell’ambiente e il contenimento della diffusione del virus, riducendo la durata degli spostamenti.

Tuttavia, il modello “15-minutes city” non è nuovo, ma deriva dall’idea di “unità di vicinato” (o “neighborhood unit”), un concetto introdotto a Chicago nel 1923, al fine di creare un archetipo residenziale che favorisse la creazione dell’identità sociale e culturale delle città, contrastando l’anonimità dei quartieri industriali che iniziarono a sorgere con l’avvento della motorizzazione di massa.

L’idea di creare città più sostenibili, con una mobilità non inquinante e con una forte attenzione nei confronti della qualità di vita dei cittadini si sta già affermando in varie parti del mondo, come dimostrano i numerosi progetti nati negli ultimi due anni, tra cui i “Superblocks” di Barcellona, i “20 minutes neighborhoods” a Portland, il modello dei “Five minutes to everything” di Copenhagen e la “Città dei 2 km” a Genova. L’ultimo caso è quello francese, dove la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha ripreso il modello proposto da Moreno, immaginando quartieri ricchi di piste ciclabili, attività commerciali, spazi culturali, incoraggiando il coworking di quartiere e il commercio di prossimità.

Questa nuova visione di città arriva in un momento delicato, caratterizzato dalla necessità di ripartire e – al tempo stesso – dalla consapevolezza che le consuete dinamiche sociali e urbane dovranno necessariamente subire delle modifiche. La sfida, ora, è quella di rendere realmente effettivi tali cambiamenti, in un’ottica di rinnovamento civico e di sostenibilità ambientale.