La parola della settimana: Comfort (zona di)

di Stefano Ricci

“Comodità, agio, e in particolare, con significato concreto, le comodità materiali, il complesso di impianti, installazioni e arredi accessori, occorrenti a rendere agevole e organizzata la vita quotidiana.” (Treccani)

Esiste nella definizione offerta un riferimento chiaro al piano esperienziale, che rende la zona di comfort una vera e propria esperienza soggettiva, intima ed afferente al nostro essere più che ai paradigmi del mondo esterno. Aspetto, questo, che vale la pena approfondire.

Come ben sappiamo, il cervello è un risparmiatore seriale di energia. Caratteristica, questa, che determina una propensione istintiva ad ‘adagiarci sugli allori’. A restare nella nostra soggettiva zona di comfort, a prescindere dalle caratteristiche che la contraddistinguono. Inutile dire che, molto spesso, il comfort si trasformi in ostacolo che, con vari alibi di sottofondo, ci dissuade dall’intraprendere il cambiamento, limitando, in alcuni casi, possibili ambizioni. Come superare la propria personale zona di comfort e come immaginare questo passaggio, non privo di rischi, come potenzialmente costruttivo per la nostra vita personale e professionale? Proprio facendo il contrario, non superandolo, almeno non formalmente.

L’obiettivo, dunque, non è quello di rompere gli argini quanto piuttosto quello di espanderli. Mantenendo la propria zona di comfort viva e vitale, ed allargandone l’influenza in maniera coerente con i nostri valori di fondo. Seguendo questo modus operandi, abbiamo la possibilità di migliorare le nostre capacità e metabolizzarle a tal punto da farle diventare sempre più agevoli e, dunque, sempre più efficaci. Provando, a piccoli passi, ad espandere i nostri limiti. Iniziando dalle piccole cose, come il cambio di un percorso per arrivare al lavoro, fino a quelle più grandi, come imparare una nuova lingua o una nuova disciplina. Essere in grado, pertanto, di dialogare con un istinto (che di razionale ha tradizionalmente ben poco) con un approccio che sia al contrario proattivo, volontario, funzionale. È questa, dunque, la reale sfida che il superamento di una qualsiasi zona di comfort realizza, con una ricompensa per nulla aleatoria e, al contrario, ben misurabile: la nostra crescita, prima ancora che come professionisti/e, come uomini e donne.