È possibile individuare un unico “colpevole” per come la copertura mediatica abbia esacerbato una situazione sociale già provata dalla pandemia? Anche se la pandemia non era prevedibile, la sua gestione sarebbe potuta essere migliore?

La pandemia COVID-19 e il suo impatto sul giornalismo

di Lorenzo Canu

È possibile individuare un unico “colpevole” per come la copertura mediatica abbia esacerbato una situazione sociale già provata dalla pandemia? Anche se la pandemia non era prevedibile, la sua gestione sarebbe potuta essere migliore? Partendo da queste due domande, vedremo come le responsabilità (non sempre volontaria) della politica e della stampa abbiano influito negativamente sia sulla gestione della crisi pandemica che sull’impatto della situazione sul giornalismo in generale.

COVID-19, giornali e politica. Un trinomio estremamente delicato le cui componenti, nel 2020, non possono essere analizzate singolarmente. Politica e giornalismo, per esempio, condividono la centralità che la pandemia ha occupato nelle loro agende, che non solo ne ha portato alla luce le difficoltà precedenti, ma ha anche accelerato l’unione di due tendenze viziose. Da una parte lo sguardo di medio periodo calibrato sulle elezioni e tipico di un certo modo di fare politica; dall’altra il sensazionalismo imposto ai media per rimanere competitivi. Mentre il primo si è tradotto in scelte amministrative poco lungimiranti, il secondo ha prodotto una cosiddetta infodemia, che, secondo la ricerca annuale Edelman Trust Barometer 2021, ha portato ad uno spostamento della fiducia dalle istituzioni e dai media alle imprese. Una tendenza già in atto, e, in qualche modo, accelerata dagli accadimenti pandemici.

“Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. Questa frase, dello statista Alcide De Gasperi, esprime bene quale sia stato il fine ultimo di chi si è trovato a governare per primo la pandemia in Italia, rispetto a quello che sarebbe dovuto essere.

Inizialmente, il tema del virus è stato grossolanamente sottovalutato, in quanto diverse voci – da tutto lo spettro politico – si sono levate a banalizzare la portata del virus o, per esempio, a incitare l’opposizione alle misure del governo, che chiedeva di preferire il lavoro a distanza. A causa della loro profonda incoerenza, le discussioni pubbliche e senza moderazione tra virologi e politici, già da gennaio, hanno prodotto effetti incontrollabili sulla popolazione. Il modo in cui queste discussioni sono state riportate dai media ha certamente giocato un ruolo importante, sicuramente in un momento in cui quelle stesse notizie sono state esagerate, attraverso ad esempio titoli clickbait sui social media, per mere ragioni di vendita. Dopo l’esplosione del contagio a marzo 2020, nel momento esatto di ogni crisi in cui si raggiunge il picco emotivo e tutte le informazioni dovrebbero essere distribuite correttamente, sono stati troppi i commenti contrastanti. Le informazioni sono state diffuse con noncuranza, anche perché gran parte della classe politica ha cercato di utilizzare gli avvenimenti per rafforzare il proprio consenso elettorale.

Riguardo ai giornali, ho sottolineato la dipendenza legittima della stampa dalle esigenze di vendita per un motivo ben preciso: questa pandemia ha ulteriormente forzato la mano su un settore, quello dell’informazione, che sta assistendo a un declino nella sua fruizione a scapito della libertà dei contenuti.

Durante la pandemia si sono infatti mescolate due delicate circostanze mediatiche, come la nuova richiesta di riportare un’enorme quantità di informazioni e la vecchia necessità di rimanere competitivi nel mercato dell’informazione. Come già detto, durante una crisi, le informazioni devono essere comunicate in modo coerente e devono provenire da fonti indipendenti. Per essere definita indipendente, una fonte deve essere libera da ogni altra influenza: il passaggio alle piattaforme online, e l’aumento delle stesse– che sta già avvenendo da tempo – hanno reso la stampa più suscettibile alle dinamiche del mercato. Questo perché aumentando le testate, occorre riuscire a distinguersi da un numero crescente di concorrenti, anche a scapito della qualità dei contenuti.

Con l’insoddisfazione e la paura degli utenti dei cittadini, a causa della gestione incoerente dei fatti da parte delle istituzioni, il sistema dell’informazione si è poi trovato nella scomoda posizione di riportare costantemente informazioni contraddittorie, perdendo così affidabilità. Secondo l’Edelman Trust Barometer 2021, il 75% degli intervistati italiani risponde affermativamente alla domanda “I media non se la cavano bene nell’essere obiettivi e non di parte?” Allo stesso tempo, la percentuale media di fiducia nelle imprese è salita a un mai visto 61%, a scapito di governi e media.

Da dove viene questo spostamento nella fiducia? Parte deriva dal già citato declino della credibilità dei media come risultato della “caccia ai click”, la diffusione della disinformazione sanitaria definita infodemia, e l’intrusione della politica. Secondo il Barometer, infatti, il 59% delle persone in tutto il mondo ritiene che “i giornalisti e i reportage cercano di proposito di ingannare la gente dicendo cose che sanno essere false o grossolane esagerazioni”.

A tutto questo si aggiunga il crescente utilizzo dei social media per ricercare informazioni che ha contribuito ad aumentare l’incertezza della comunicazione, escludendo i media come fonte attendibile di informazione. Pur essendo, colui che scrive, fortemente contrario a qualsiasi forma di censura ma adottando una posizione critica, è chiaro che la comunicazione a più voci da parte della politica, così come l’incapacità delle istituzioni di mantenere una comunicazione adeguata alle gravi circostanze, è stata dannosa per i media.

Per concludere, credo che tentare di identificare le persone responsabili della cattiva gestione della pandemia non sia né utile né essenziale. Piuttosto, credo che gli effetti dell’epidemia si siano inseriti in tendenze già problematiche nella politica e nella stampa, accelerandole. Volendo fare di una crisi un’occasione, credo che i media possano ripristinare la credibilità e la fiducia, per esempio, nello stesso modo in cui lo hanno fatto le imprese. Sfruttando lo scenario di crisi, i media possono e devono posizionarsi socialmente, riuscendo così a recuperare parzialmente un ruolo di primo piano nella trasmissione delle notizie.