17 Mar La disabilità nelle narrazioni mediatiche: tra il pietismo e l’eroismo
Di Ilaria Cirigliano
In Italia, nel 2019, sono state contate 3 milioni e 150 mila persone con disabilità. I numeri più alti registrati dall’Istat si presentano nella fascia degli ultrasettantacinquenni (circa 1 milione e mezzo, di cui 1 milione sono donne), mentre, per quanto riguarda i giovani, sono circa 300 mila gli studenti con disabilità che frequentano le scuole italiane.
Ma che cosa si intende con il termine disabilità? L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), classifica all’interno di un sistema denominato ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), a cui hanno contribuito diversi Paesi tra cui l’Italia, i fattori e le componenti che incidono sulla salute umana, permettendoci di definire con più precisione anche il termine “disabilità”.
L’ICF descrive e categorizza l’insieme delle situazioni che incidono sul funzionamento umano, individuando: funzioni corporee e psicologiche della persona; strutture corporee (parti anatomiche del corpo); menomazioni (problemi nella struttura corporea, derivanti ad esempio da perdite di parti significative); partecipazione ad attività da parte dell’individuo con le limitazioni che ne possono derivare; infine, ambiente fisico e contesto sociale in cui la persona si trova ad agire e comunicare.
La disabilità si presenta dunque come il risultato, o la conseguenza, di una relazione complessa tra le condizioni di salute che caratterizzano l’individuo e i fattori socio-ambientali all’interno dei quali l’individuo si trova ad agire quotidianamente.
Come solitamente accade, la realtà è ben diversa dalla teoria. Ciò significa che le persone, spesso (dis)educate dai media, hanno una concezione errata su cosa sia effettivamente la disabilità, il che porta ad utilizzare termini inopportuni per definirla (“malattia”, “confinato sulla sedia a rotelle”, “handicappato”, solo per citarne alcuni). Alimentando il meccanismo nominato abilismo, definito come l’insieme di pregiudizi e atteggiamenti che mettono in posizione di difetto le persone con disabilità.
Di fatto le narrazioni mediatiche sono impregnate di termini che fanno emergere l’eroismo e l’eccezionalità. La giornalista Valentina Tomirotti afferma che i media incidono notevolmente sulla creazione e il rafforzamento di alcuni stereotipi, mettendo al centro l’immagine dell’impresa eroica ma associandola a concetti come “ce l’ha fatta nonostante tutto”, o esaltando la vincita di una medaglia d’oro alle competizioni sportive molto più rispetto ad altre competizioni (concorsi letterari, per esempio). Si tratta quindi di sottolineare l’eccezionalità della persona con disabilità che, malgrado tutto, è riuscita persino a vincere in ambito sportivo.
L’altra faccia mostrata è quella del pietismo e la conseguente assenza di agentività: “bisogna ascoltare le voci delle persone disabili, non parlare per loro” afferma Sofia Righetti, filosofa e campionessa nazionale di sci alpino paralimpico. Emerge in queste rappresentazioni l’immagine della persona con disabilità vista come sola, abbandonata a se stessa, da compatire perché fragile, e che solitamente suscita parole come “mi dispiace per lui/lei”. Insomma, una vera e propria vittima.
Nonostante la società, e i media in particolar modo, siano ancora lontani dal raggiungimento di una rappresentazione che rompa i canoni radicati, alcuni passi in avanti sono stati mossi. Parte dei collaboratori del mondo cinematografico hollywoodiano ha lanciato, negli ultimi anni, l’hashtag #DontDismissDis, portando alla luce le discriminazioni subite dai professionisti disabili da parte dell’industria cinematografica per eccellenza. Da quel momento Hollywood si sta impegnando verso la realizzazione di una rappresentazione più diversificata, autentica e inclusiva. Ciò nonostante, si conta che ancora il 95% dei ruoli sia ricoperto da persone non disabili.
È importante affermare che la stessa problematica si verifica in Italia: quanti conduttori televisivi sono persone con disabilità? Quanti rivestono ruoli protagonisti in ambito cinematografico?
Il problema, dunque, non è solo un’erronea rappresentazione, in quanto spesso si tratta proprio di assenza. La società dell’immagine in cui viviamo è ancora troppo legata ai canoni di bellezza che tutti conosciamo, e, fintanto che non verranno accantonati, i problemi sulla rappresentazione della diversità si perpetueranno.
SITOGRAFIA:
https://www.istat.it/it/files/2021/03/Istat-Audizione-Osservatorio-Disabilit%C3%A0_24-marzo-2021.pdf
https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/42417/9788879466288_ita.pdf
https://www.fanpage.it/attualita/parlare-di-disabilita-quali-sono-le-parole-corrette-da-usare/
https://espresso.repubblica.it/attualita/2022/07/11/news/disabili_eroi_vittime_pietismo-357413822/
https://www.nielsen.com/it/insights/2021/visibility-of-disability-answering-the-call-for-disability-inclusion-in-media/
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