08 Ott Aspettando #RareHack2018
Hackathon On Rare Disease 2018 è finalmente alle porte. Attendendo l’evento live e conclusivo di questa II edizione, alla Stazione Leopolda di Firenze dal 10 al 12 Ottobre, ci è sembrato interessante poter offrire un contributo riguardante #RareHack2017. Abbiamo, quindi, realizzato un’intervista al relatore della scorsa edizione, Marco Domenico Santambrogio, professore associato al Politecnico di Milano e direttore del NECST Lab.
Dal suo punto di vista quali aspetti del progetto lo rendono interessante per gli studenti?
La cosa più bella è il problema reale, vero, che impatta davvero e direttamente sulla vita delle persone. Come ingegneri generalmente tendiamo ad avere diversi problemi da risolvere, ma li vediamo da dietro le quinte e non ci possiamo rendere conto degli effetti del prodotto che realizziamo. A volte il prodotto finale arriva alla persona tramite un altro prodotto, così che non vediamo più il risultato vero e proprio sulla vita delle persone.
Il Rare Disease Hackathon permette ai ragazzi di vedere come le tecnologie che possono realizzare abbiano un impatto concreto sulle persone per cui le realizzano e questo è il vero e bellissimo driver motivazionale per i ragazzi.
Partecipare al Rare Disease Hackathon l’ha aiutata a scoprire la Comunità delle Malattie Rare?
Conoscevamo già l’esistenza delle Malattie Rare perché all’interno del laboratorio c’è un progetto legato alla genomica, quindi era uno dei temi all’interno dei quali ci stavamo già muovendo. Ciononostante, l’essere venuti all’ Hackathon 2017 ci ha fatto capire quanto davvero non conoscessimo le Malattie Rare. C’è purtroppo un ventaglio di scenari che è molto più variegato e profondo di quanto pensassimo. Noi ci stavamo occupando di aree molto specifiche e dettagliate, che potevano essere curate e analizzate anche attraverso studi genomici e invece ci siamo resi conto di uno scenario che è veramente, veramente immenso e questo è disarmante da un certo punto di vista perché ti rendi conto anche di quanta ignoranza ci sia, nel vero senso della parola: non conoscenza di una realtà che invece dovrebbe essere conosciuta da più persone.
Quali sono i punti di forza del suo progetto Necst Lab?
Necst Lab è in realtà solo il nome del laboratorio, i progetti sono 4/5.
La prima forza sono i ragazzi stessi, che sembra una banalità, ma non lo è: è una verità. I team sono costruiti cercando la massima eterogeneità in competenze e in composizione di genere. Sono team bilanciati, abbiamo ingegneri informatici e biomedici e ciascuno cerca di portare il proprio contributo.
La seconda leva, che parte comunque sempre dai ragazzi, è proprio la loro età: la loro spensieratezza e il coraggio di aver paura, mettiamola così. Loro non sono intrappolati o vincolati da schemi di ricerca o da studi particolari perché li stanno svolgendo adesso, stanno iniziando adesso a muovere i primi passi nella ricerca e questo è uno scenario entusiasmante: riuscire a coinvolgere i ragazzi che sono “verdi” da un punto di vista delle conoscenze, ma che sono fortissimi nelle capacità critiche. Sono altamente irriverenti da un punto di vista, non si fanno problemi a dire “questa cosa non può funzionare”, ma allo stesso tempo sono i primi che hanno il coraggio di commettere errori, di provare e di proporre soluzioni che ad altri non verrebbero in mente, proprio perché sembrano cose impossibili. Gli studenti hanno davvero quella genuina spensieratezza di considerare che il limite a quello che possono fare sia davvero il limite delle loro competenze stesse. Stanno riapplicando in un contesto nuovo cose con cui si confrontano ogni giorno e in cui hanno già tante competenze. Vedendo le prime fasi dei prototipi che stanno già creando devo dire che sono molto molto entusiasta di questa iniziativa. Penso che per loro sia davvero una bella esperienza e possa uscirne davvero qualcosa di valido, decisamente.
(Marco Domenico Santambrogio: Postdoc Fellow, Massachusetts Institute of Technology, MA, USA; Ph.D. degree in Information Engineering, Politecnico di Milano, Italy; Master degree in Computer Science, University of Illinois at Chicago, Chicago, USA; Laurea in Computer Engineering, Politecnico di Milano, Italy.)
Immagine dalla premiazione 2017