Il marketing nell’era del Politically Correct: l’approccio ad una comunicazione responsabile

A cura di Bianca Piccioni

Qual è l’origine e il significato dell’espressione “politically correct”, e fino a che punto è ancora utile o limitante nella nostra società e nel marketing?

L’espressione angloamericana politically correct designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso determinate categorie di persone. Nasce nelle università statunitensi verso la fine degli anni ’80 del Novecento con l’obiettivo di promuovere una maggiore giustizia sociale e di difendere e riconoscere pienamente l’identità culturale delle minoranze oppresse.

Ma se i presupposti sono positivi, dove sta il corto circuito?

Nonostante gli ideali egualitari e progressisti che hanno ispirato il politically correct, questo è stato criticato per il conformismo linguistico e per essere visto come un’imposizione ideologica che limita la libertà di espressione, generando molte polemiche.

Difatti, sotto il pretesto di promuovere ideali di giustizia sociale, il politically correct si concentra principalmente sulla forma anziché sulla sostanza dei problemi, contribuendo ad alimentare una sorta di ipocrisia; si potrebbe sostenere che esso rappresenti una sorta di morale pubblica, per cui essere politicamente corretti implica conformarsi alle linee guida di un ideologia dominante. Morale che però spesso risulta costruita, poiché non corrisponde all’azione; di conseguenza, il politically correct è considerato da tanti poco più di uno schermo.

Fonte immagine: https://www.populismstudies.org/Vocabulary/political-correctness/

Che ripercussioni ha il politically correct nel marketing pubblicitario?

Il politically correct ha influenzato profondamente anche il marketing. Le aziende si trovano ora a dover fronteggiare una serie di sensibilità culturali e sociali, e un passo falso può scatenare boicottaggi, proteste online e danni alla reputazione. Questo ha spinto ad optare per un approccio estremamente cauto e conservativo, limitando così l’audacia del messaggio.

Vi è però una doppia faccia della medaglia: spesso infatti, il veicolare tematiche sociali che cavalcano il politically correct, non è dettato da un fattore politico o sociale ma economico, considerata la viralità che tali notizie e pubblicità anticonformiste generano sui social.

Un esempio recente è il nuovo live action di Biancaneve, una produzione Disney con Rachel Zegler nei panni della principessa protagonista: il film ha già fatto discutere ancor prima di uscire nelle sale per il suo essere politicamente corretto.

Il marketing generale della pellicola e in particolare la selezione dell’attrice protagonista sono stati oggetto di critica. Molti lamentano che, in nome della diversità e dell’inclusione, si rischi di “tradire” la storia originale. Anche il ruolo del principe e quello dei nani sono stati rivisitati per adeguarsi alle sensibilità contemporanee: per il primo non sarebbe più accettabile quel bacio senza consenso, mentre i nani sono ovviamente di etnie diverse con altezze variabili. Tutte sfide aggiuntive per un film che oggi si muove tra mille ostacoli “imposti” dal politically correct.

Si solleva dunque il dubbio su quanto il politically correct sia realmente sostenuto da principi sostanziali e quanto, invece, sia semplicemente forma, potenzialmente ipocrita, per tutelare il prodotto. Ciò che si evince è semplicemente la volontà di un brand di dimostrare, a tutti i costi, di aver fatto quell’upgrade, quello switch che gli permette di essere moderno, al passo coi tempi, e dunque accettabile dall’ideologia del politically correct.