La bellezza del cinema è arte senza tempo, fonte di intrattenimento, ma non solo. E’ anche un fondamentale mezzo di comunicazione e rappresentazione della realtà, sebbene questa molto spesso non sia così perfetta come vorremmo.

LA MALATTIA MENTALE IN SCENA

A cura di Angelica Pavan e Francesca Calvi

La bellezza del cinema è arte senza tempo, fonte di intrattenimento, ma non solo. E’ anche un fondamentale mezzo di comunicazione e rappresentazione della realtà, sebbene questa molto spesso non sia così perfetta come vorremmo.

I film raccontano storie, trasmettono un chiaro messaggio che vuole coinvolgere l’audience e farla sentire parte integrante di un gruppo con cui identificarsi. Eppure non sempre questo accade perché molte categorie vengono escluse. Se ad esempio prendiamo in analisi il rapporto tra cinema e malattia mentale, possiamo dire che esiste un’adeguata rappresentazione?

Analizzando il film “Si può fare”, viene dato risalto ai soggetti affetti da malattie mentali. Ispirato a storie vere di cooperative sociali, tratta di dare una seconda possibilità ai pazienti dimessi dai manicomi, offrendo loro lavoro. La convinzione che ognuno abbia un proprio talento, indipendentemente dai limiti mentali, e che lo possa utilizzare a beneficio della comunità, è il messaggio del film.

Avere un progetto comune renderà i soggetti motivati, partecipi, vitali ed entusiasti.

Una commedia toccante, fonte di riflessione e critica per gli spettatori. Dall’unione ed il contrasto tra ragione e sentimenti, il film mette in scena un’utopia che si concretizza: non si dimentichi che è ispirato a storie vere. “Si può fare” è un tentativo cinematografico di applicare il senso della Legge Basaglia, secondo cui “la follia è una condizione umana, il vero problema è la società che per dirsi civile dovrebbe accettare la ragione, tanto quanto la follia.