Fast fashion ed Eco-guilt: il caso H&M

Di Lorena Gridelli

Da anni siamo circondati da slogan ambientalisti; veri e propri messaggi di speranza e mobilitazione che puntano a fare breccia nelle coscienze dei consumatori, innescando in molti casi il cosiddetto effetto “eco-guilt”.

L’eco-guilt consiste nel senso di colpa legato alla mancata o scarsa partecipazione alla lotta contro il cambiamento climatico. Tale fenomeno è spesso causato da strategie di comunicazione adottate dalle imprese per distogliere l’attenzione dalle proprie pratiche nocive per l’ambiente, spostando di fatto la responsabilità dal produttore al consumatore.

È il caso delle innumerevoli campagne pubblicitarie e iniziative in odore di greenwashing delle grandi catene del fast-fashion.

D’altronde, la filosofia del fast-fashion risponde alle abitudini di consumo effimere della società moderna ed è per sua natura incompatibile con la salvaguardia dell’ambiente. Basti pensare che l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2 e del 20% circa dello spreco d’acqua a livello mondiale. Uno degli aspetti maggiormente dannosi è la produzione annuale di milioni di tonnellate di scarti di abbigliamento che impiegano più di 200 anni per decomporsi, rilasciando metano e altri gas tossici nel terreno in cui vengono abbandonati.

Molto criticata in tal senso è stata la campagna “Bring it” realizzata da H&M nel 2017 per incoraggiare i consumatori a consegnare presso gli store vestiti usati in cambio di uno sconto del 15%. L’obiettivo – espresso dallo slogan che dal 2013 accompagna le iniziative sostenibili del brand, “Don’t let fashion go to waste”- sarebbe di far sentire i clienti protagonisti della lotta agli sprechi.

“Don’t let fashion go to waste” – slogan di H&M per il lancio dell’iniziativa di riciclaggio dei vestiti. Photo by: https://instylewithstylebabe.wordpress.com/2013/03/29/dont-let-fashion-go-to-waste-with-hm-new-conscious-collection-2013-videos/

Secondo alcuni osservatori lo spirito fonda le sue radici una semplificazione: solo lo 0,1 percento degli abiti raccolti è riciclato e trasformato in nuove fibre tessili e in più la campagna alimenterebbe un vero e proprio circolo vizioso in cui i consumatori acquistano abiti con maggiore assiduità gettandoli in sistema di riciclaggio ancora debole e non pienamente sostenibile.

È doveroso chiarire che la scelta di H&M di incoraggiare i consumatori a compiere scelte più consapevoli rimane un gesto importante e fondamentale per cambiare la visione della società riguardo il tema della crisi climatica. Tuttavia, non si può fare a meno di notare che anche il messaggio più forte perde di intensità nel momento in cui non riesce a fare pienamente i conti con una tematica complessa e sfaccettata in cui ogni aspetto concorre ad una soluzione che non può essere più parziale ma che deve essere piena e strutturata. Le accuse rivolte a H&M ne sono una piena dimostrazione e offrono alla stessa comunicazione un chiaro indizio sulle regole di ingaggio che non possono essere più veloci e immediate – rivolgendosi spesso imprudentemente al consumatore- ma più lente nell’offrire al consumatore stesso una coerenza comportamentale all’altezza dell’aspettativa.

 

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