Intervista a Stefano Martello, mentor di Comm to Action.

a cura di Giulia Armuzzi

 

In occasione dell’uscita del suo volume  “Il rilancio post crisi degli enti di terzo settore. Pianificare la ripartenza.” pubblicato nella collana ebook di Cesvot, Comm to Action ha deciso di intervistare Stefano Martello.

  • Come è nata l’idea di questo e-book?

Questo testo deve molto al progetto Restart Program, ideato da Roberta Zarpellon e organizzato dalla Delegazione Ferpi Triveneto nell’aprile 2020. Le lunghe chiacchierate con il Delegato Ferpi Triveneto Filippo Nani  e i proficui confronti con Emanuela Fregonese, con Francesca Serena Fronzoni, con Ada Sinigalia e con Alessandra Veronese , oltre che con i giovani colleghi Uniferpi Padova e Uniferpi Gorizia, mi hanno costretto a riflettere su un tema che avevo già affrontato con Biagio Oppi nel lungo viaggio della Carta di Rieti. Da qui, l’idea – prontamente accettata dagli amici del Cesvot– di definire il rilancio nella sua complessità e nei suoi benefici potenziali.

 

  • Per quale motivo la fase di rilancio risulta essere ancora principalmente teorica e non pratica?

Principalmente, per due motivi. Il primo affonda le radici nella visione stessa dell’intero impianto di comunicazione in emergenza. Formalmente composto da tre fasi- pianificazione, contrasto, rilancio- ma in realtà concentrato sulla sola fase di contrasto ad una crisi già conclamata. Spesso, proprio l’assenza di una preparazione pregressa mitiga gli effetti del contrasto e inibisce i termini di un rilancio che viene così ridotto ad un momento formale, privo di efficacia. Il secondo aspetto interessa il modo in cui spesso interpretiamo il rilancio stesso, spogliandolo di qualsiasi fatica progettuale e, in poche parole, prendendo la strada più semplice, quella di un rilancio enfatizzato, celebrato, dopato ma mai ragionato.

 

  • Come dovrebbe articolarsi la fase di rilancio?

Non esiste una griglia predefinita bensì dei momenti che ogni organizzazione deve rispettare. Ogni rilancio deve essere preparato logisticamente e operativamente; affidato ad un team precostituito e nutrito da dati e informazioni che riguardano lo stato interno della stessa organizzazione; i cambiamenti intervenuti nello scenario di riferimento dell’organizzazione; la definizione degli obiettivi propri del rilancio e le attività di misurazione rispetto ai risultati – intermedi e finali- raggiunti. Proprio a tal proposito vorrei proporre un esempio. Originando dalla scarsa presenza di logiche di pianificazione pre-crisi ho parlato nel testo di un team di rilancio e non, come la pubblicistica prevede, di un crisis team che opera ( dovrebbe operare) lungo tutte le tre fasi della comunicazione in emergenza. Si tratta di una concessione a quelle criticità caratteristiche, non certo di una soluzione finale. L’obiettivo è quello di accreditare progressivamente la figura del team di crisi come propria di ogni contesto organizzativo complesso, a prescindere  dal momento in cui l’organizzazione si trova.

 

  • Perché è importante nella fase di rilancio confrontarsi con l’ambiente e i pubblici di riferimento?

Come scrivo nel libro ogni rilancio comporta un confronto con l’ambiente nel quale le nostre azioni trovano riscontro e impatto. Da quel confronto, dalla sua accuratezza, dalla sua sincerità dipenderà il modo in cui le nostre condotte saranno di volta in volta accettate o criticate. E non possiamo dimenticare che nessun ambiente è statico e che spesso la sua forma, i suoi valori di riferimento, i suoi codici morali cambiano in maniera repentina e spesso poco ascoltabile, soprattutto se ci stiamo ristabilendo da una crisi appena trascorsa. Ecco perché l’ascolto dell’ambiente di riferimento appare strategico più in tempo di pace che in tempo di crisi.

 

  • Qual è la parola chiave di questo volume?

Io direi fatica. Fatica intellettuale, nel momento in cui non ci dobbiamo far tentare dalla soluzione più semplice e intuitiva. Fatica critica, dal momento che ogni rilancio responsabile comporta una riflessione -interna ed esterna- serrata e a tratti dolorosa. Una fatica etica,  per non nascondere in qualche cassetto segreto ciò che è stato e per utilizzarlo per costruire ciò che sarà. E, infine, una fatica progettuale, per svincolare il rilancio da un mero entusiasmo, ancorandolo a degli elementi forse meno iconici, certamente più funzionali.

 

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