28 Nov Google BERT. Tra istanza alla crescita e la necessità di una consapevolezza.
di Stefano Ricci
BERT, acronimo di Bidirectional Encoder Representations from Transformers e ultimo aggiornamento in casa Google, pubblicato il 25 ottobre scorso. Ma al di là degli acronimi, che impatto avrà l’algoritmo per utenti e specialisti SEO?
L’algoritmo, potenziato dallo sfruttamento delle reti neurali, ha una rinnovata capacità di comprendere il significato delle query, depotenziando il valore alle singole keyword a vantaggio dell’intera domanda di ricerca nel suo insieme. E proprio domanda è la prima parola chiave: ormai da anni Google si sta trasformando in un motore di risposta, più che di ricerca. Con l’introduzione di BERT, le ricerche complesse ed articolate forniranno le migliori risposte, rendendo obsolete le ricerche attuate solo attraverso le keyword. Per i professionisti della SEO tutto ciò implica il potersi dedicare più alla qualità del contenuto che alla densità di keyword, come tradizionalmente accadeva in passato. Il tutto per vari motivi: innanzitutto il cambiamento dello stesso modus operandi di ricerca e, poi, anche per la capacità rinnovata di Google di interpretare i contenuti in maniera sempre più ampia e umana. E umanità è la seconda parola chiave: l’interazione con Google, sarà sempre più sartoriale, replicando le abitudini proprie della nostra specie. Se poniamo una domanda chiedendo chi abbia scritto la Divina Commedia, ci aspettiamo il nome e il cognome, non certo tutti i cantici. Allo stesso modo il motore di ricerca, sempre più spesso, ci fornisce la risposta alla domanda direttamente nella SERP senza bisogno di consultare altre pagine web. E questa nuova modalità diventa sempre più strategica per ottimizzare l’interazione vocale con gli assistenti digitali, consentendone un utilizzo fluido ed integrato nella nostra quotidianità e rispetto alle nostre aspettative.
Studiare e tenersi aggiornati su come evolvano gli algoritmi offre importanti spunti sia in termini professionali che in termini di mero uso quotidiano. È utile per poter fare ipotesi sempre più corrette sui futuri sviluppi. Ma anche per metabolizzarne il funzionamento, le potenzialità e i limiti e non rimanere sorpresi e spaesati, ad esempio, nel momento in cui scopriamo quanti dati sensibili stiamo diffondendo. Non rimanere al passo con le novità tecnologiche, dunque, ci espone al rischio tanto concreto quanto invisibile di non essere padroni delle macchine che utilizziamo, trasformandoci da consumatori attivi a utenti passivi. E rischiando, così, di smarrire quella libertà che per paradosso attribuiamo proprio ai nostri device.