Il potere della scienza verso la mobilitazione climatica

Il nuovo rapporto dell’Ipcc ha mostrato la grande preoccupazione della comunità scientifica nella lotta contro il tempo per salvare il pianeta. Pur generando ansia e, in qualche modo, rassegnazione, pubblicazioni del genere sono la chiave per una mobilitazione tempestiva e globale.

di Lorena Gridelli

Il Rapporto, nato dalla collaborazione di 270 scienziati, è stato definito come il più forte campanello d’allarme mai lanciato dalla comunità scientifica. L’allarme riguarda il grave impatto del cambiamento climatico, che prevede effetti disastrosi per il pianeta e l’umanità. In particolare, tali effetti porteranno tra i 32 e 132 milioni di persone verso la povertà estrema solo nel prossimo decennio, all’inadeguatezza climatica dell’8% dei terreni agricoli utilizzati al momento e ad una scarsità idrica che coinvolgerà il 18% della popolazione.

Il nuovo Rapporto dell’Ipcc è solo l’ultimo di una lunga serie di studi, ricerche ed articoli pubblicati al fine di accelerare la lotta al cambiamento climatico. L’obiettivo della comunità scientifica è di informare la società sulla verità dei fatti in maniera accurata e oggettiva, verità che tuttavia, dal punto di vista del lettore appare spesso poco comprensibili, generando un senso di sconfitta e di rassegnazione. Per questo motivo, molti semplicemente rifiutano di leggere informazioni di questo genere, applicando una strategia attendista per non scivolare nella spirale dell’eco-anxiety.

Questa strategia è pericolosissima per la nostra società e per gli stessi scopi perseguiti. Le pubblicazioni scientifiche sono vitali per la lotta al cambiamento climatico rappresentando non un memento morii ma un messaggio di speranza per un’attuazione efficace e tempestiva delle strategie di adattamento da parte della comunità internazionale. Per strategie di adattamento si intendono principalmente programmi che puntano al miglioramento dell’eguaglianza sociale per le comunità maggiormente colpite; la collaborazione con le popolazioni indigene per il ripristino della biodiversità degli ecosistemi più fragili; l’implementazione di infrastrutture che puntino a limitare i danni, come ad esempio i sistemi di controllo delle inondazioni.

Si registra, tuttavia, un ritardo nell’implementazione di tali strategie in almeno 170 paesi. Secondo l’Ipcc, la causa principale è l’insufficienza degli attuali finanziamenti destinati ai piani di adattamento, i quali necessitano rispettivamente di 127 e 295 miliardi di dollari annui per il 2030 e 2050. Se applicate, tempestivamente, queste strategie potranno mitigare l’impatto del cambiamento climatico portando a reali soluzioni.

In ultima analisi la sensazione è quella di un cane che si morde la coda: dati oggettivi e veritieri che tuttavia non vengono consultati (o almeno non in maniera efficace) da coloro che al contrario li dovrebbero usare come modello per future strategie. La domanda sorge spontanea: è forse un problema di comunicazione e di ritmo narrativo scelto?