Contro il team building: 3 consigli per costruire una squadra performante.

di Stefano Ricci

Incontri motivazionali per scalare insieme montagne; Christmas party in cui celebrare la fine dell’anno appena trascorso; prove di sopravvivenza in territori disagiati. Questi sono solo alcuni esempi delle attività che vengono proposte alle aziende per rinsaldare lo spirito di gruppo fidelizzando i dipendenti. Ma al di là dell’efficacia di queste attività, che dipende fortemente delle caratteristiche dei singoli individui e dal modo in cui interagiscono, c’è un aspetto che, troppo spesso, viene sottovalutato. Ed è ciò che precede l’interazione di gruppo: la sua stessa formazione interna e il carattere di costanza che contraddistingue queste attività.

Esistono, a tal proposito, un insieme di pratiche e di accorgimenti che possono aiutarci a capire come costruire un team e come massimizzarne le performance (Ketzenbach e Smith, 1993).

Innanzitutto, è importante stabilire le dimensioni ottimali. Team troppo ampi, infatti, rischiano di essere dispersivi, di generare gerarchie implicite e far venir meno il principio base della collaborazione. Questo perché, ad esempio, i meno estroversi non si sentirebbero legittimati a dire la propria, facendo perdere al team l’opportunità di beneficiare di un’ulteriore punto di vista. Per dare al lettore un’idea del numero ideale, prendiamo spunto da chi di esperienza in questo settore ne ha decisamente più di noi. Emilio Galli Zugaro, già capo della comunicazione globale di Allianz per quindici anni, fa riferimento nel suo libro La leadership comunicativa ad un numero preciso stimato in 12 componenti.

Un secondo fattore da tenere in considerazione sono le competenze dei singoli individui. Come per una squadra di calcio non sarebbe performante avere undici attaccanti – nonostante sia necessario segnare per vincere una partita – allo stesso modo per un team aziendale non sarebbe d’aiuto se tutti avessero le stesse competenze. Il consiglio, dunque, è di preferire l’eterogeneità. In modo che ognuno possa contribuire con la propria unicità al raggiungimento dell’obiettivo generale.

Ed ecco che si passa al terzo punto: lavorare ed investire sulla creazione di un approccio comune. Facilitare, dunque, i processi di comunicazione interni al gruppo; disporre di modalità di interazione condivise e di visioni comuni sul metodo di svolgimento delle attività. Tutte le attività verranno successivamente perfezionate dalla distribuzione delle mansioni e responsabilità.

Quest’ultimo punto è, di fatto, la chiave di volta che collega la creazione effettiva e fisica di un gruppo con la parte più operativa di mantenimento della sinergia di squadra e svolgimento delle attività. Un tema la cui centralità è spesso sottovalutata e a cui dedicheremo un approfondimento nella prossima settimana editoriale di CommtoAction.

 

Fonti:

The Wisdom of Teams – Jon R. Katzenbach, Douglas K. Smith

La leadership comunicativa – Emilio Galli Zugaro, Clementina Galli Zugaro

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