Percezione e comunicazione: il peso delle parole e l’etica nell’era digitale.

di Anna Luna Di Marzo

La percezione implica soggettività, e regola base per essere un buon comunicatore è il suo esatto opposto: l’oggettività. Questo perché il compito di chi comunica è quello di riportare fatti nella maniera più obiettiva possibile. Sarà il lettore, poi, a discernere quali informazioni riterrà più o meno utili al proprio scopo. Ma per quanto riguarda il comunicatore, ad egli spetta un compito assai arduo per poter rimanere fedele al proprio scopo: riportare un fatto nella sua oggettività, senza lasciarsi prendere da facili derive persuasive.

Con il susseguirsi degli anni, infatti, mantenere tale proposito è divenuto apparentemente sempre più difficile. Certo, sarebbe semplice riportare la storia di Cappuccetto Rosso raccontandola dalla parte del lupo, se questo dovesse significare maggiori profitti e un pubblico di lettori sempre più fedeli. Ma non è questa l’onestà intellettuale. Il rapporto tra comunicatore e pubblico si basa su un implicito patto di fiducia che, in un mondo ideale, dovrebbe essere stipulato tra un fornitore, che apporta contenuti oggettivi e veritieri, e un fruitore che si fida di essi. L’onesta però, si sa, prevede un grosso prezzo da pagare, facendo correre il rischio di smarrire pubblici, per disaccordo, o solo perché ci si vorrebbe sentire dire ciò che rende il sonno più tranquillo. Ma la comunicazione, si sa, è uno scambio relazionale reciproco, denso di difficoltà soprattutto nell’ambiente digitale, in cui troppo spesso ci si sofferma ad una veloce lettura di un titolo ammiccante. Contrastare la percezione, per affermare la realtà dei fatti, non solo è compito del comunicatore, ma è dovere di chiunque decida di assumersi la responsabilità di relazionarsi con un pubblico. Interessante, in tal senso, l’articolo I pericoli della percezione pubblicato da Ferpi, di cui vale la pena riportare uno stralcio: “Secondo il Misperceptions Index, l’indice che valuta la distanza tra la percezione delle persone e la realtà dei fatti l’Italia si colloca al 1° posto nella classifica dei paesi “più ignoranti”.

Basta questo stralcio per capire come la sfida sia ardua e come sia necessario ricordare che un qualsiasi processo comunicativo contempla un incontro tra le parti, alimentato dalla fiducia e dall’individuazione di apporti utili. Sostanziali e non semplicemente formali. L’obiettivo, d’altronde, è duplice: contrastare nel breve periodo la minaccia percettiva e legittimare sempre più il ruolo del comunicatore nel perimetro delle condotte necessarie.