Parliamo di Neuromarketing. Le microespressioni.

Di Sara Negro

È banale anche se molti non se ne rendono pienamente conto. Quando guardiamo una pubblicità non stiamo solo osservando il prodotto in sé, ma anche le emozioni e le sensazioni che quel prodotto evoca.
L’espressione di puro piacere di un bambino mentre mangia i propri cornflakes alla mattina; il senso di sicurezza e di prestigio che sembra provenire da un’automobile di lusso, tutti esempi di un’esperienza che non è solo di presentazione ma anche di partecipazione emotiva.

Un venditore efficacie è colui che riesce a comprendere le emozioni associandole al processo mentale del cliente, migliorandone la resa relazionale. Le decisioni d’acquisto, infatti, sono fortemente influenzate dal livello emozionale, come dimostrano le microespressioni sui volti dei clienti.

È importante sottolineare che le microespressioni facciali  (individuate dagli studiosi Haggard e Isaac nel 1966) sono diverse delle espressioni facciali poiché risultano spontanee, difficili da simulare e possono durare soltanto una frazione di secondo.

Paul Ekman ha approfondito nel 1972 gli studi di Charles Darwin e quelli di Haggard e Isaac, individuando le emozioni universalmente riconosciute: rabbia, gioia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa e disprezzo. Queste spesso svelano – come i lapsus  – intenzioni celate o emozioni che non si vogliono mostrare.

Per tutti questi motivi riassumibili con un peso emozionale che caratterizza i processi d’acquisto, le microespressioni diventano nel contempo strumento e risorsa per comprendere al meglio l’effetto comportamentale e per calibrare quell’elemento persuasivo su cui ancora si appoggia il messaggio pubblicitario. E che, di fatto, rappresenta la differenza sostanziale tra il messaggio pubblicitario e quello comunicativo.

Per un’approfondimento .