Parliamo di Neuromarketing.

di Sara Negro

Inizia, con questo articolo, una serie di approfondimenti sul neuromarketing, sulle sue funzioni e sulle sue modalità.

Se oggi parliamo di Neuromarketing, è certo che un grande riconoscimento si deve ad Ale Smidts, direttore del RSM’s (Rotterdam School of Management) Erasmus Center for Neuroeconomics , che nel 2002 definì il neuromarketing come

l’insieme delle tecniche di identificazione dei meccanismi cerebrali
orientate a una maggiore comprensione del comportamento del consumatore
per l’elaborazione di più efficaci strategie di marketing (Smidts, 2002).

Stiamo parlando quindi di un modello di innovazione che sta radicalmente cambiando l’approccio al business da parte di molte aziende.
È una novità che offre al marketing un’opportunità di perfezionare i metodi di ricerca tradizionali (questionari, interviste etc.), riducendo il margine d’errore nell’interpretazione spesso soggettiva dei risultati da parte dei ricercatori. Introducendo inoltre la capacità di misurazione delle reazioni cognitive e degli stati emozionali che le persone provano in corrispondenza di ogni singolo trigger  sensoriale.

Di quali strumenti si serve il neuromarketing? Principalmente:

  • l’eyetracking ;
  • l’elettroencefalografia (eeg);
  • la risonanza elettromagnetica funzionale (fMRI);
  • il riconoscimento delle espressioni facciali;
  • la magnetoencefalografia (MEG);
  • la tomografia ad emissione di positroni (PET);
  • e altre rilevazioni biofisiologiche.

Concludendo, questa scienza, se applicata consapevolmente, è in grado di individuare il punto d’equilibrio tra gli obiettivi aziendali e i desideri del consumatore in modo da aiutare una corretta fidelizzazione relazionale tra i due attori.

La prossima settimana ci vediamo per un approfondimento sull’eyetracking, rimanete aggiornati.