Un anno nuovo: post-COP27, combustibili fossili e il ruolo delle proteste giovanili.

Giacomo Di Capua

Il 20 novembre dell’anno scorso si è conclusa con oltre 48 ore di ritardo la 27a Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), altresì nota come COP27, tra delusioni negoziali ed elusioni semantiche su temi importanti quali l’eliminazione graduale dei combustibili a livello globale, la chiusura del gap finanziario dei $100 miliardi annuali in contributi per i paesi in via di sviluppo e la creazione di un fondo per le “perdite e danni” (loss and damage, in termini onusiani) causati dai cambiamenti climatici. 

 

Alla vigilia delle negoziazioni, COP27 era stata inquadrata e promossa come una ‘conferenza dell’implementazione’ in contrasto alle precedenti 26 riunioni dei leader globali sul tema dei cambiamenti climatici, fortemente criticate per la paucità di progressi concreti nella riduzione delle emissioni dei gas serra (ininterrottamente in aumento da oltre 170 anni). Alla chiusura della conferenza tenutasi nella città egiziana di Sharm el-Sheikh, di rilievo nel documento decisionale chiave – lo Sharm el-Sheikh Implementation Pact – risultano le onerose omissioni o formulazioni calibrate balisticamente per generare una parvenza di successo sulle conversazioni cardine di questa COP, le quali richiederanno un’ulteriore conferenza con focus ‘implementazione’ nel 2023.

 

Gli esiti negoziali raggiunti nel Sinai Meridionale peccano d’inerzia soprattutto sul tema carbon-fossili, la cui combustione è responsabile per tre quarti delle emissioni di gas serra ed il 90% delle emissioni di anidride carbonica a livello globale. In aggiunta al fallimento dello spazio istituzionale preposto alle discussioni in tema mitigazione – il Mitigation Working Programme, l’assenza di ambizione nella riduzione dell’uso di combustibili fossili si è riflessa nella totale assenza di menzioni dei “fossil fuels” all’interno dei 66 paragrafi del testo finale della COP – un esito indubbiamente problematico nel quadro di una conferenza incentrata sui cambiamenti climatici. Il testo presenta infatti una mera iterazione dell’obiettivo di ridurre gradualmente l’uso del carbone (‘phase down unabated coal’), già presentato nel testo finale della COP26 a Glasgow, e l’appello all’eliminazione graduale dei sussidi destinati ai combustibili fossili quando considerati ‘inefficienti’ (‘phase out inefficient fossil fuel subsidies’). 

 

Altrettanto limitati risultano i progressi nell’istituzionalizzazione del ruolo dei giovani all’interno dei processi decisionali della Convenzione Quadro, i quali avanzano a passo lento nell’Implementation Pact. Nonostante la presidenza egiziana della COP guidata dal Ministro degli Esteri Sameh Shoukry avesse aperto la 27a edizione con ottimi segnali di apertura verso le generazioni future quali l’istituzione di un inviato per i giovani (Youth Envoy) ed il primo padiglione per tema “Youth & Children” nella storia dell’UNFCCC, il testo finale indebolisce l’appello ad includere i giovani nei processi decisionali legati a politiche climatiche – semplicemente “incoraggiando (‘encourages’) gli stati membri ad includere bambini e giovani nei loro processi per la progettazione ed implementazione di azioni e politiche ambientali” – a differenza dell’esortazione (‘urges’) del testo di Glasgow. Infine, anche lo storico risultato sull’istituzione di un framework finanziario per le perdite ed i danni è caduto vittima delle inerzie diplomatiche confluite nel testo finale, il quale restringe la base di beneficiari di future disposizioni finanziarie ai paesi “più vulnerabili” tra gli stati in via di sviluppo pur lasciando la definizione di tale vulnerabilità aperta a future negoziazioni.

 

Mentre i correnti piani di mitigazione determinati a livello nazionale ci guidano verso un futuro di riscaldamento globale ben superiore al limite di 1.5ºC stabilito nell’Accordo di Parigi, la salvaguardia dei limiti planetari rimane anche quest’anno in ostaggio alle formulazioni evasive degli stati membri. 

In Italia abbiamo osservato anche l’aumento di proteste giovanili verso il governo come il blitz al Senato o la vernice lanciata addosso alla scultura di Maurizio Cattelan davanti al palazzo della Borsa in piazza Affari a Milano. Non ci sono arresti o casi che fermano gli attivisti. Ed è sotto questa pressione di dover fare di più che approcciamo questo anno nuovo.