Carta di Rieti: i 9 comportamenti per un’efficace comunicazione in emergenza. Formare alla comunicazione.

a cura della Redazione

Prendendo spunto dalle parole dei Consiglieri Nazionali Biagio Oppi e Sergio Vazzoler nel loro articolo La responsabilità dei comunicatori e dei relatori pubblici ai tempi dell’Infodemia abbiamo deciso – in relazione agli accadimenti del weekend del 22 e 23 febbraio e dell’esplosione della questione del Covid-19 – di indagare i nove comportamenti espressi nella Carta di Rieti e relativi ad un corretto modello comunicativo in caso di emergenze. Pur non entrando nel merito della questione e delle relative procedure già in atto (non essendo competenti) intendiamo il nostro come sforzo e supporto responsabile, in linea con quelle stesse linee guida che indagheremo nel corso di questa settimana.

Formare alla comunicazione.

Se è vero – come riteniamo sia vero – che la scienza comunicativa può assolvere ad un ruolo strategico e diffuso nell’economia delle azioni di prevenzione, contrasto e rilancio di una crisi naturale, è anche giusto confessare come, spesso, la stessa scienza comunicativa non sia legittimata e/o riconosciuta dalle stesse organizzazioni che ne dovrebbero usufruire. In tal senso, l’esempio della legge 150/2000 – su cui oggi, a distanza di vent’anni dalla sua entrata in vigore, si ricomincia a ragionare – è lampante e significativo. L’obiettivo, in tal senso, non deve essere solo quello di accreditare una efficace cassetta degli attrezzi ma, piuttosto, quella di concentrare la propria attenzione sulla natura, sulle mansioni e sulle competenze di coloro che sono tenuti a selezionare gli strumenti più efficaci e funzionali ai singoli scopi: i comunicatori ed i relatori pubblici. Formare alla comunicazione, oggi, significa spiegare ai nostri pubblici una funzione sempre più diffusa in termini di oneri e doveri. Estesi non più (non solo) alla singola organizzazione di riferimento bensì a tutta la comunità in cui quella stessa organizzazione agisce. Favorire questo senso di consapevolezza significa ridare dignità e senso al processo comunicativo, soprattutto in quella fase di prevenzione dove, ad oggi, si registrano le assenze o, nel migliore dei casi, una parziale presenza comunicativa. Si tratta di un’attitudine diffusa che permea in maniera egualmente stringente le attitudini precedentemente indagate e quelle che seguiranno. Affermandosi come punto di inizio di un dibattito non più rinviabile.