Conoscere l’algoritmo: la persuasione.

di Stefano Ricci

Studiare ci rende liberi, di far scelte migliori se non altro. Perché ci apre gli occhi e ci consente di imparare dagli errori, nostri e degli altri. E oggi, sempre di più, risulta insufficiente conoscere la storia, la letteratura o saper fare di conto, se non conosciamo ciò che governa gran parte delle nostre esistenze.

Almeno una volta nella vita, ognuno di noi si sarà sentito dire che non serve sapere come siano costruiti e come funzionino dal punto di vista meccanico un’automobile o un algoritmo per poterne sfruttare i benefici. Sappiamo guidare un’auto anche senza sapere in cosa consista il processo di combustione né cosa sia la forza centrifuga. Ma è pur vero che, conoscendo quest’ultima, potremmo calcolare come sia opportuno affrontare una curva insidiosa, senza uscire di strada. Allo stesso modo, non ci serve sapere come funziona un algoritmo per poterlo utilizzare. Ma averne piena conoscenza ci garantisce di mantenere un’interazione funzionale, calibrata e consapevole.

In uno scenario evolutivo che tende a far somigliare sempre di più la tecnologia alle persone, è fondamentale avere la massima conoscenza sugli schemi di ragionamento di un algoritmo. È, questo, l’unico scudo che ci difende dalla possibilità di scambiarlo per umano. Pensiamo, ad esempio, agli assistenti vocali: sono strumenti realizzati per darci un servizio di ricerca, di assistenza in casa o di intrattenimento, ma rimangono, almeno ad oggi, veicoli di pubblicità, sia pure tecnologicamente raffinati. E confonderli per un “amicomolto cordiale con cui possiamo dialogare e divertirci, può farci abbassare le difese tanto da rendere sempre più facile il meccanismo persuasivo. In tal senso, non è così diverso dall’avere consapevolezza di chi sia il nostro interlocutore umano e di quali siano, nell’economia relazionale intrattenuta, i suoi valori ed obiettivi. È ciò che ci difende da quella persuasione non etica, più simile ad un rapporto interessato che ad una disinteressata curiosità nei confronti dell’altro.

L’utilizzo passivo di un mezzo – qualunque esso sia e qualunque siano le modalità – ne comporta la perdita di controllo, finendo per invertire i ruoli e relegandoci a soggetti controllati. E l’esempio trattato in questo articolo è solo uno dei tanti pericoli veicolati dalla mancanza di consapevolezza di questi strumenti. Pericoli di cui avremo il piacere di discutere nelle prossime settimane.

 

Per approfondire:
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