Lo sforzo comunicativo della complessità.

di Stefano Ricci

Due o più soggetti che comunicano tra loro non si scambiano solo parole, ma vissuti personali, emozioni, contesti sociali ed ambientali. E quando, all’interno di questo flusso complesso ed articolato, vogliamo, come comunicatori, inserire un messaggio che sia altrettanto complesso ed articolato, sembra stagliarsi di fronte a noi un ostacolo insormontabile.

La strada più intuitiva da percorrere sembra quella della semplificazione. Insomma, impacchettare il messaggio con poche parole chiave trasversalmente comprensibili. Strategia che, lo abbiamo già visto, funziona molto bene per i pubblici generalisti e di massa, con una presa istantanea e con un’influenza comportamentale alta ed incisiva. Con obiettivi più o meno vari, ad esempio, conquistando voti per un’elezione. Il pro dunque, è chiaro, così come è chiaro il contro: un messaggio che si afferma in maniera veloce e che nello stesso modo può essere sostituito e dimenticato, inficiando tutta la nostra comunicazione. Una comunicazione complessa, al contrario, richiede tempo per essere compresa e metabolizzata e, dunque, risulta più efficace. Un assunto semplice quanto vero, se parlassimo di un mondo ideale in cui ognuno è in grado di comprendere esattamente quello che intendiamo e, soprattutto, dove chiunque è interessato ad ascoltarci. Ma nella realtà dei fatti, le comunicazioni complesse, dettagliate e tecniche sono possibili per lo più in contesti di nicchia – come le comunità scientifiche o le accademie. È, dunque, impossibile comunicare la complessità a pubblici generalisti?

La proposta di questo articolo è di coniugare le due alternative. Semplificazione e complessità. Nello specifico, reinterpretare la complessità non come una vetta da raggiungere con un solo balzo, ma come un insieme di sentieri agevoli da percorrere giorno dopo giorno e di cui conoscere i punti di connessione. Nella comunicazione, questo significa creare un flusso semplice ma costante che sia modellato e calibrato sull’ascolto dei propri pubblici. Anche se non formalmente esplicitato, questo implica, la necessità di instaurare un rapporto di fiducia tra le parti. E per agevolare il processo, pur sempre articolato e complesso, occorre ripensarlo come una serie di strati e non più come un unicum. È una sfida per i comunicatori di oggi; un’attenzione continua tra le contingenze professionali (un risultato che sia immediato rispetto al nostro cliente) e la necessità di affrontare un qualsiasi tema tenendo conto delle tante sfaccettature che lo attraversano. Si tratta di una sfida che richiede sforzo ed energie, studio e perseveranza, persino una grande autostima per continuare a prestare un’attenzione maniacale a numerose variabili che devono essere tenute in considerazione all’interno di ogni interazione. Qualunque sia l’ambito. Qualunque sia l’argomento. Ed è forse proprio questa la sfida identitaria, etica e operativa a cui tutti noi futuri professionisti della comunicazione siamo chiamati a rispondere.