Calo dell’attenzione: deficit o potenzialità?

di Stefano Ricci


Messaggi, mail, contenuti sempre nuovi su ogni social e notizie da ogni parte del mondo, tutto concentrato in un lasso di tempo sempre più denso. Passiamo da un’attività ad un’altra senza nemmeno accorgercene e, magari, alcune le lasciamo incompiute più che per dolo, per colpe da distrazione. E tutto questo in rete è ancora più evidente.

Quando approdiamo ad un nuovo sito – stando ai dati delle ricerche prestiamo in media, dai 10 ai 20 secondi d’attenzione per decidere se quei contenuti rispondono alle nostre aspettative. Dato allarmante, ma solo se considerato in maniera assoluta. Sarebbe scorretto, infatti, affermare che la nostra attenzione sia sempre compresa in quel lasso di tempo; come si sottolinea nell’articolo Busting the attention span myth della BBC, non basta parlare di attenzione media in generale, come spesso accade, ma si deve sempre fare riferimento al contesto e al tipo d’azione compiuta. Ad analizzare il problema sotto un più completo punto di vista, è la ricerca di Firth (et al.), pubblicata su World Psychiatry nel 2019, che evidenzia come la rete stia, di fatto, cambiando il nostro modello cognitivo. Determinando da un lato un calo attenzionale e, dall’altro, una migliore capacità di gestione multitasking. In altre parole, immaginate di star cercando informazioni sul web e di prestare attenzione a ogni singola parola. Potrebbero passare ore prima di trovare qualcosa di sostanzialmente utile. Non è quindi molto più efficiente lasciare che l’attenzione vaghi alla ricerca del contenuto di nostro interesse? Non saper spostare l’attenzione repentinamente, insomma, viene interpretato come un deficit tanto quanto il non saperla mantenere concentrata.

Come spesso accade, la soluzione per non essere sopraffatti da questo nuovo paradigma digitale risiede in un punto intermedio, che chiameremo livello di consapevolezza diffusa. Propria degli utenti, così come dei produttori di contenuti. In questo spazio ancora grigio risiedono le formule dell’attenzione alla qualità, magari a discapito della quantità; della consapevolezza del proprio scopo e del proprio potere; della selezione di contenuti realmente valoriali e della volontà di una condivisione che sia riconosciuta e legittimata da un modello comunicativo efficiente, efficace e sostanzialmente trasparente.