Piton cambia volto: inclusione o marketing?

Black Washing nel cinema: inclusività o strategia di marketing?

La recente notizia del reboot di Harry Potter e della scelta di un attore nero, Paapa Essiedu, per interpretare Severus Piton ha riacceso il dibattito sul cosiddetto black washing nel cinema. Se da un lato molti vedono questa scelta come un segnale di inclusività, dall’altro alcuni la considerano una mera operazione di marketing volta a cavalcare l’onda dell’inclusività senza una reale coerenza narrativa e valoriale. Quando e fino a che punto queste decisioni influenzano il valore di un brand cinematografico?

Il Black Washing e il branding nei media

Per black washing si intende la pratica di affidare ad un attore di origine africana il ruolo di un personaggio storicamente interpretato da attori di un’altra etnia, tipicamente caucasici. La diversità e l’inclusione sono elementi fondamentali per i brand moderni, specialmente in un’epoca in cui il pubblico è sempre più sensibile a queste tematiche. Tuttavia, quando la scelta appare forzata o incoerente con l’opera originale, può generare reazioni negative e minare la credibilità del brand stesso.

Il rischio di perdere identità e credibilità 

Quando un personaggio iconico subisce un cambiamento drastico, i fan più affezionati potrebbero percepirlo come un tradimento della storia originale. Operazioni simili si sono già viste in passato e hanno spesso scatenato ondate di polemiche non sempre costruttive. Le principali motivazioni che spingono il grande pubblico a criticare le scelte di questo tipo sono:

Scarsa coerenza narrativa: nella serie TV Anne Boleyn, la scelta di un’attrice nera, Jodie Turner-Smith, per interpretare la celebre regina d’Inghilterra ha generato critiche per la mancanza di fedeltà storica.

Percezione di una forzatura ideologica: il casting di Halle Bailey, attrice afroamericana, nel ruolo de La Sirenetta ha diviso il pubblico tra chi ha apprezzato la scelta e chi l’ha vista come un’imposizione socio-culturale e politica piuttosto che un’evoluzione organica del personaggio.

Mancanza di un valore aggiunto alla storia: in alcuni casi, il cambiamento dell’etnia di un personaggio non ha arricchito la narrazione, ma è sembrato un’operazione di marketing mirata solo ad attirare un determinato pubblico e promuovere l’idea di un brand o azienda come inclusiva.

Quando il cambiamento di un personaggio sembra una scelta puramente strategica, il rischio è quello di perdere parte del pubblico affezionato, creando una frattura tra vecchi e nuovi spettatori. Il risultato potrebbe non essere quello sperato: invece di attrarre nuovi segmenti di pubblico, il brand potrebbe perdere la propria identità.

Inoltre questa scelta può ritorcersi contro l’attore che, invece di essere valutato per la sua bravura e talento, rischia di essere visto solo come una scelta dettata dalle logiche di mercato. Questo può portare a critiche ingiuste e a una percezione distorta del suo lavoro, che non viene riconosciuto per il merito, ma etichettato come frutto di una decisione politica o commerciale.

Per quanto riguarda il caso di Paapa Essiedu, che con ogni probabilità sostituirà Alan Rickman nel ruolo di Piton nel reboot della saga cinematografica, bisogna considerare il contesto in cui Harry Potter è stato scritto. Nel 1997, quando J.K. Rowling pubblicò il primo libro, l’attenzione alla diversità e alla rappresentazione era molto diversa da oggi e il pubblico stesso aveva aspettative differenti. Se oggi il reboot presentasse un cast interamente caucasico, le critiche arriverebbero comunque, e questa volta sarebbero ancora più giustificate. Basti pensare alle polemiche sollevate per Oppenheimer, nonostante la scelta del cast fosse coerente con il contesto storico e narrativo. Una rappresentazione della società britannica moderna priva di diversità etnica apparirebbe anacronistica e poco realistica, facendo storcere il naso a molti spettatori.

Quale strategia funziona davvero?

Il cinema e le serie TV hanno un ruolo chiave nel plasmare l’immaginario collettivo e nell’ampliare la rappresentazione della diversità. Tuttavia, per essere efficace, l’inclusività deve essere percepita come autentica e coerente con la narrazione originaria e storica, piuttosto che avvertita come una mera strategia di marketing. I brand cinematografici dovrebbero sforzarsi di trovare un equilibrio tra innovazione e rispetto del materiale originale, evitando di ridurre la diversità a una semplice mossa commerciale.

La domanda rimane comunque aperta: fino a che punto il pubblico accetterà cambiamenti di questo tipo senza percepirli come una forzatura?