Postano, piangono, e il consenso è salvo. Femminicidio e comunicazione politica: tutto quello che non dicono davvero.

a cura di Larisa Elena Ciobanoiu

“Ci stringiamo attorno alla famiglia.”

“Serve fare di più.”

Il copione è sempre lo stesso. Ogni volta che una donna viene uccisa per mano di un uomo, la comunicazione politica segue uno schema prevedibile: dichiarazioni di shock, un tweet di condoglianze, forse una conferenza stampa. Poi, il silenzio.
Nessuna azione strutturale.
Nessun cambiamento di linguaggio. Solo l’illusione che si stia facendo qualcosa.

La narrazione della tragedia.
I femminicidi in Italia non sono tragedie casuali: sono atti di violenza sistemica radicati in una cultura patriarcale. Eppure, i politici raramente li descrivono come tali. Le loro dichiarazioni sono vaghe, spesso ridotte a frasi emotivamente neutre come “violenza contro le donne”.

Cosa manca? Un chiaro riconoscimento della natura strutturale e maschilista di questa violenza.
Solo nei primi tre mesi del 2025 sono state uccise almeno 14 donne. Tra queste Sara Campanella, 22 anni, uccisa a Messina da un compagno di studi che la molestava da due anni. Pochi giorni dopo, Ilaria Sula, anch’essa 22enne, è stata trovata morta in una valigia dopo essere scomparsa per 8 giorni – il suo ex fidanzato ha confessato l’omicidio.

Questi sono i nomi delle donne uccise in Italia nel 2025: Eliza Stefania Feru – Maria Porumbescu – Jhoanna Nataly Quintanilla Valle – Eleonora Guidi – Sabrina Baldini Paleni – Ruslana Chornenka – Laura Papadia – Sara Campanella – Ilaria Sula – Teresa Stabile – Samia Bent Rejab Kedim – Lucia Chiapperini – Tilde Buffoni – Cinzia D’Aries

Come al solito, è seguita l’indignazione politica. Per qualche giorno. 

Il problema è strutturale. Anche il silenzio.
Ogni parola scelta o evitata racconta una visione del mondo.
Il ministro Valditara, per esempio, propone un piano educativo, ma dice che “il patriarcato non esiste più” e lega la violenza di genere all’immigrazione. Una narrazione che nega le radici culturali e sposta la colpa altrove. Quando la Premier propone il reato autonomo di femminicidio ma evita sistematicamente parole come “violenza maschile”, non è solo un omissione, bensì una strategia comunicativa precisa: mostrare fermezza, senza mai disturbare l’ordine del potere

Non è un caso. È la regola. E i numeri lo dimostrano. Secondo uno studio del 2023 di ActionAid e dell’Osservatorio di Pavia, solo l’1,5% degli oltre 300.000 post social dei politici italiani parlava di violenza maschile sulle donne. E quasi sempre solo dopo un caso mediatico eclatante. Per il resto, è silenzio. O peggio: branding.

Quando si parla di femminicidio, la comunicazione politica raramente punta a costruire un pensiero complesso. Piuttosto, cerca di gestire l’impatto emotivo e tutelare la reputazione pubblica. Non è un caso che si evitano parole come patriarcato, maschilismo, dominio.
Perché dire queste parole vuol dire prendere posizione. Infatti, la politica è potere. E il linguaggio è il modo in cui lo esercita.
Chi sceglie di non nominare il problema, sta scegliendo di difendere lo status quo.
In pratica: si comunica il lutto, ma non la responsabilità. Rassicura, ma non spiega. Si parla di “tragedie”, ma non di sistema. Questo è il vero fallimento comunicativo: un linguaggio pensato per non disturbare nessuno, che però non serve a cambiare nulla.

Ma cosa significa “violenza strutturale”?
Dire che la violenza è strutturale significa riconoscere che non è un caso isolato, né un raptus.
È il risultato di un sistema che plasma mentalità, relazioni e ruoli fin dall’infanzia.
Viviamo in una società che insegna alle ragazze a non “provocare”, ma non ai ragazzi a non esercitare potere. Dove la gelosia è scambiata per amore e l’educazione sessuale è vista come una minaccia, non come uno strumento.

La violenza è strutturale perché è ovunque: nei rapporti, nei linguaggi, nel potere. E finché la politica non la nomina, la lascia esistere.

Fonte: @nonunadimeno / 8 marzo

Tolleranza zero solo a parole.
Secondo un’analisi di Openpolis, il fondo per le politiche su diritti e pari opportunità per il 2024 ammontava a 55 milioni di euro, destinati a centri antiviolenza, case rifugio e altre iniziative. Ma sono emerse grandi criticità: i fondi finanziano solo strutture già esistenti, senza nuovi centri e senza progetti educativi. Risultato? La prevenzione continua a non essere una priorità politica.
Ogni volta che si parla di femminicidio, la risposta politica è la stessa: “tolleranza zero”. Ma nella pratica, lo Stato continua a investire più sulla repressione che sulla prevenzione, e le risorse disponibili finiscono per rafforzare l’esistente, senza affrontare davvero le radici del problema.

Non basta piangere quando una donna muore. Bisogna agire quando è ancora viva. E oggi, la politica sceglie di non farlo.

Quante donne dovranno ancora morire, prima che lo faccia davvero?

 

Fonti:

https://www.openpolis.it/il-fondo-per-le-pari-opportunita-uniniziativa-positiva-ma-insufficiente/

https://s3.eu-central-1.amazonaws.com/actionaid.it/uploads/2024/11/Oltre_le-Parole_2024.pdf

https://www.senato.it/CESUS/madama/2025/20250310/chigi.htm