Negli ultimi anni, l’Europa si è mostrata un continente che anziché accogliere, respinge e ha contribuito a rendere la rotta del Mediterraneo centrale la più pericolosa e mortale al mondo. Le sue frontiere sono diventate palcoscenici su cui si alternano due narrazioni contrastanti ma complementari: quella della pietà e quella della paura.

Media e migrazioni: un rapporto complicato

A cura di Anna Serafini

Raffigurare le migrazioni
Negli ultimi anni, l’Europa si è mostrata un continente che anziché accogliere, respinge e ha contribuito a rendere la rotta del Mediterraneo centrale la più pericolosa e mortale al mondo. Le sue frontiere sono diventate palcoscenici su cui si alternano due narrazioni contrastanti ma complementari: quella della pietà e quella della paura.

Per comprendere al meglio queste narrazioni è da tenere in considerazione la differenza tra produzione e fruizione dei contenuti. Infatti, da un lato si parla di “etica del mostrare” ovvero il modo in cui le fotografie vengono prodotte e diffuse dai professionisti che scelgono cosa presentare e come farlo. A questa si contrappone l’etica del vedere, ovvero il modo in cui le immagini vengono guardate e comprese dagli spettatori, le emozioni suscitate e il pensiero sviluppato.
Le immagini non parlano da sole, è il modo in cui vengono prodotte e il punto di vista scelto che ne suggeriscono l’interpretazione. Sulla questione migratoria più che altrove i media agiscono come veri e propri filtri narrativi.

Uno storytelling ambivalente
Alla base dello storytelling si trova il viaggio dell’eroe, una tecnica narrativa che rende il racconto coinvolgente e significativo per il pubblico, attraverso la presenza di personaggi archetipi e dinamiche ricorrenti. Questo l’Europa lo sa bene, il suo obiettivo è costruire una narrazione mediatica in cui i migranti appaiono come invasori, mentre essa stessa si presenta come figura salvatrice, pronta a respingere il nemico e proteggere i propri cittadini. Le cartografie si rivelano un potente strumento nella costruzione di tale narrazione, non è raro che le migrazioni vengano raffigurate attraverso una grande freccia che invade l’Europa in maniera massiccia e imponente, una rappresentazione che semplifica e sminuisce la complessità e l’estensione del fenomeno migratorio.

The Frontex map of 2017

In questo modo prende vita la narrazione della “sicurezza”: dietro alla promozione di una maggiore tutela delle persone si cela la difesa di un ordine territoriale, di un confine e la protezione degli interessi statali. La “sicurezza” diventa quindi un pretesto per mantenere il controllo attraverso il quale si nasconde la violenza di confine che colpisce i migranti.

La narrazione mediatica
​La comunicazione mediatica ha un ruolo cruciale nel plasmare l’opinione pubblica riguardo le migrazioni e permette di sostenere lo storytelling che l’Europa promuove. Nel corso degli anni, i media italiani hanno adottato diversi frame narrativi che hanno influenzato profondamente la percezione collettiva dei migranti.​

Il frame barbaro
Nel 1991, lo sbarco della nave Vlora a Bari, con circa 20.000 persone a bordo, fu rappresentato dai media come una “invasione di barbari”, una marea umana, ammassata, sporca e sfinita dal viaggio. L’impatto delle immagini e dei titoli dei notiziari ha contribuito alla nascita del frame dell’invasione, alimentando sentimenti di paura e ostilità.​

Il frame umanitario
Nel 2013, il tragico naufragio a Lampedusa, che causò la morte di oltre 360 persone, segnò un cambiamento nel discorso mediatico. Si passò così a un frame umanitario, focalizzato sulla compassione e sulla necessità di salvare vite umane. Tuttavia, anche questa narrazione rischiava di semplificare e disumanizzare i migranti, riducendoli a vittime.​

Il frame del sospetto
A partire dal 2016, si è assistito all’emergere del frame del sospetto, in cui le ONG impegnate nei soccorsi in mare sono state accusate di favorire l’immigrazione clandestina e di avere accordi con i trafficanti. Questo ha rafforzato un discorso securitario, legittimando politiche migratorie più restrittive e una maggiore militarizzazione dei confini.​

Questi esempi ci permettono di riconoscere il potere dei media nel modellare la percezione della realtà e favorire alcune interpretazioni rispetto ad altre. Una buona comunicazione dovrebbe invece promuovere una narrazione più equilibrata e rispettosa della complessità del fenomeno migratorio, senza ridurlo a un rigido schema interpretativo.​ È necessario essere consapevoli che questi frame hanno avuto un impatto significativo sull’opinione pubblica, influenzando atteggiamenti, sentimenti e politiche.

Fonti: Tra cura e controllo. La messa in scena del Mediterraneo come confine liquido – Musaroì e Parmiggiani