
31 Mar Intelligenza artificiale e lavoro: dibattiti sul futuro
L’uso dell’intelligenza artificiale (IA) nel mondo del lavoro è divenuto uno dei principali temi di discussione contemporanea. Questo perché fino a qualche anno fa l’AI era accessibile solo a chi possedeva determinate competenze informatiche; tuttavia con l’avvento di ChatGPT, concepito per una fruizione alla portata di chiunque, questa tecnologia si è diffusa in tutto il mondo arrivando al grande pubblico, che non ha più bisogno di particolari competenze per interagire con le interfacce di questi programmi. Dato che queste AI semplificano compiti (anche lunghi e impegnativi) gli utenti hanno subito trovato svariate applicazione in diversi settori lavorativi: da compiti di scrittura a calcoli contabili, da stesure giuridiche a realizzazioni di grafiche, quasi tutti sono riusciti a trovare un modo di integrare l’AI nel proprio lavoro. Nonostante l’entusiasmo il timore è quello di rendere alcune professioni obsolete, essendo rimpiazzabili da un programma “intelligente”. Esistono vari studiosi che hanno diverse visioni del dibattito.
Immagini generate dall’AI
La prima è Kate Crawford, ricercatrice che studia le implicazioni sociali e politiche dell’intelligenza artificiale, che in “Né intelligente né artificiale” (2021) propone una visione apocalittica sul tema. Dopo aver visitato un importante nodo logistico di Amazon negli USA, l’autrice racconta le condizioni di lavoro degli operai. I dipendenti sono ormai completamente al servizio dei vari sistemi intelligenti che dettano il ritmo del lavoro: in questi centri il fulcro sono le macchine basate su sistemi di intelligenza artificiale, e l’operaio ha esclusivamente compiti manuali da portare a termine entro rigide scadenze. Osservando situazioni simili, e soprattutto il passato della storia industriale e capitalista, Crawford spiega come gli imprenditori prendono sempre la scelta più conveniente in termine di profitto e risultati. La priorità è il progresso tecnologico, in questo caso rappresentato dalle intelligenze artificiali, tagliando sempre più elementi (umani) posti all’interno delle sempre più diffuse catene di montaggio. Anche all’interno di McDonald’s alcune decisioni sulla gestione delle risorse e del personale è affidata a un sistema di AI, capace addirittura di consigliare quando mandare a casa un dipendente. La visione pessimistica proposta in questo caso può cambiare rotta solo in caso di intervento delle istituzioni, che dovranno garantire più diritti e tutele per i lavoratori.
Di visione più ottimista è Jerry Kaplan, scienziato informatico, autore, futurista e imprenditore americano, che propone un modello basato sull’evoluzione delle competenze. Infatti nel suo libro, “Intelligenza artificiale: guida al futuro prossimo” (2017), l’autore spiega come le rivoluzioni tecnologiche hanno sì tolto il lavoro a molte persone, ma allo stesso tempo le hanno spinte verso nuovi interessi professionali, che richiedevano nuove competenze. Un esempio che rende l’idea è il lavoro nei campi negli USA: nel 1870 l’80% dei lavoratori erano agricoltori, nel 2008 solo il 2%. Questo ci fa capire come oggi vediamo le IA come minacce, ma un domani non lo saranno più perché l’essere umano sarà impegnato in altri lavori che la tecnologia non riuscirà ad occupare.
È chiaro che gli ottimisti e i pessimisti avranno le loro risposte solamente con il passare della storia, e fare previsioni riguardo a tecnologie ancora in sviluppo è molto difficile. Ciò che rimane certo è che nel mondo del lavoro è sempre più importante rimanere aggiornati con le nuove tecnologie, anche in funzione del proprio CV.
Bibliografia
- Crawford K, Né intelligente né artificiale: Il lato oscuro dell’IA, 2021, Il Mulino, Bologna.
- Kaplan J, Intelligenza artificiale: Guida al futuro prossimo, 2017, LUISS University Press, Roma.