
25 Mar “Star bene si può” – intervista ad Alessandra Sorrentino
In occasione della recente diffusione delle campagne di sensibilizzazione sull’emicrania, realizzate dagli studenti del corso “Comunicazione d’impresa”, abbiamo intervistato Alessandra Sorrentino, presidente dell’Alleanza Cefalalgici (Al. Ce.) e voce autorevole nel panorama italiano. Alessandra non è solo un’attivista, ma anche una paziente emicranica che ha trasformato la sua esperienza personale in una missione per migliorare la vita di chi soffre di questa condizione. La sua storia è un esempio concreto di come la comunicazione possa diventare uno strumento potente per sensibilizzare e creare consapevolezza.
Come è stata la tua vita da emicranica?
Soffro di emicrania da quando avevo 4 anni. Ricordo i pomeriggi passati a letto, al buio, con un dolore sugli occhi che sembrava eterno. Mio padre, emicranico anche lui, e mia madre mi portarono dall’oculista convinti che fosse un problema di vista. Ovviamente, non era così.
L’emicrania ha segnato tutta la mia vita. L’adolescenza, in particolare, è stata un incubo: a scuola ero spesso fraintesa, considerata la “sfigata” di turno. Tutti pensavano che i miei attacchi di emicrania fossero solo delle scuse per non studiare o non presentarsi alle interrogazioni. A peggiorare le cose è stata l’emicrania con aura, che ho avuto fino ai 25 anni: visiva (non riuscivo a vedere da un occhio, la sensazione era quella di guardare da un finestrino appannato o di vedere tante lucine di color argento), sensitiva, con il formicolio su viso e corpo, e la peggiore, quella che colpisce la parola, afasica. Quando sei nella fase di aura afasica il cervello sa che cosa vuole che tu dica, ma non riesci a farlo, non riesci a dire le parole che stai pensando. Era spaventoso.
Ancora oggi soffro di fotofobia, fonofobia e osmofobia: alcuni odori, come quello del salame, sono trigger insopportabili. Questi sintomi mi hanno isolata, ma oggi sogno un mondo in cui nessun adolescente debba vivere ciò che ho vissuto io.
Quando è arrivata la svolta?
Nel 2020, dopo la morte di mia nonna, un lutto per me molto doloroso, la mia emicrania è diventata cronica: avevo attacchi 20-25 giorni al mese. Vivevo in funzione del dolore e assumevo antidolorifici senza controllo. Nel gennaio 2021 sono stata ricoverata: ho passato 8 giorni in ospedale per disintossicarmi dai farmaci che a loro volta mi causavano il mal di testa (l’uso eccessivo di farmaci causa la cosiddetta Medication Overuse Headache). Le prime 96 ore senza farmaci sono state insopportabili: non riuscivo a mangiare né a dormire. Dopo una visita neurologica la dottoressa mi ha chiarito che l’emicrania è una malattia neurologica e va trattata come tale. Io, in realtà, la diagnosi l’avevo già da tempo, ma nessuno mi aveva mai chiarito che fosse una malattia neurologica.
Prima del ricovero ero alla disperata ricerca di informazioni. Volevo sapere cosa mi aspettava, ma trovavo solo poche righe sui siti web di alcuni centri… informazioni che per me non erano sufficienti. Mi accorsi subito che mancava l’esperienza diretta del paziente, e allora pensai… Soffro di emicrania da quando avevo 4 anni, di mestiere faccio la copywriter: apro un blog
Così ho deciso di aprire Le parole dell’emicrania, raccontando la mia esperienza per aiutare altri pazienti. Da quel momento è stato un lento decollare.
Come sei diventata presidente dell’Alleanza Cefalalgici?
Dopo il ricovero cercavo il sostegno di qualcuno che mi seguisse e mi dicesse cosa potevo fare per stare meglio. Grazie agli anni di esperienza lavorativa nel Terzo Settore, conoscevo molto bene il mondo dell’associazionismo, e in questo modo trovai Alleanza Cefalalgici (Al. Ce.). Mi iscrissi come associata ma avevo tante idee e decisi di offrirmi come volontaria. Con il tempo mi è stato proposto di diventare presidente: un grande atto di fiducia nei miei confronti.
I miei obiettivi principali erano – e sono tuttora – sensibilizzare sul luogo di lavoro e combattere la disinformazione sull’emicrania.
Cosa significa per te essere presidente dell’associazione?
È una responsabilità enorme ma anche un dono meraviglioso. Quello che la patologia mi ha tolto è diventato molto meno importante di tutto quello che mi ha dato. Attraverso Al.Ce. ho trovato un modo per restituire qualcosa agli altri. Non mi vergogno più della mia condizione o di aver affrontato ansia e depressione legate alla malattia. Essere presidente significa avere il potere di cambiare le cose per chi verrà dopo di me.
Cosa fa Al.Ce. per i pazienti?
Concretamente, offriamo gruppi di auto-mutuo aiuto guidati da pazienti esperti formati per moderare le sessioni. Questi gruppi sono fondamentali per chi vive forme croniche difficili da trattare farmacologicamente.
Ci occupiamo anche di advocacy politica: dialoghiamo con le istituzioni per garantire accesso equo alle terapie e ai centri specializzati su tutto il territorio nazionale. Collaboriamo con aziende etiche per progetti come Migraine Friendly Workplace, una certificazione che rende i luoghi di lavoro inclusivi per chi soffre di emicrania.
Inoltre, lavoriamo sulla comunicazione per combattere lo stigma e promuovere il riconoscimento culturale dell’emicrania come malattia invisibile ma disabilitante.
Cosa pensi possa fare ulteriormente l’associazione per combattere lo stigma? E in che modo la comunicazione può aiutare a lavorare culturalmente?
Beh, lavorando con voi, ad esempio! Quando ho scoperto le vostre campagne di sensibilizzazione sull’emicrania per me si è illuminato un mondo. Trovo sia eccezionale che un’istituzione come l’università si sia fatta carico di questa iniziativa. Tutta la campagna sull’ironia ha colpito il mio cuore, perché l’ironia mi ha salvata, anche nei momenti peggiori. L’ironia colpisce e arriva anche a quella persona che i clichè li usa davvero: quando legge le frasi che utilizza e che alimentano lo stigma, è lì che inizia a mettersi in discussione. E poi il focus sulla malattia invisibile, perché la verità è che il dolore si può conoscere, e si può vedere. Puoi riconoscere quando una persona soffre di emicrania. Innanzitutto ascoltandola, e poi osservandola. Addirittura un giorno una mia collega mi disse “capisco che oggi stai male perché cambia il modo in cui cammini” e io non me ne rendo nemmeno conto.
E oggi? Come sta Alessandra?
Oggi sto bene. Continuo ad avere attacchi, ma grazie alla terapia personalizzata li gestisco meglio e la qualità della mia vita è migliorata enormemente. L’emicrania non è più un nemico: è parte di me e mi ha resa la persona che sono oggi.
”Il messaggio che lascio sempre, e che spero arrivi sempre a tutte le persone che soffrono di questa patologia, è che stare bene si può. È difficile, è un percorso tortuoso, però stare bene si può. Non ci si deve abituare al dolore, non si deve avere paura, e laddove la paura vince, è fondamentale chiedere aiuto.
Quando si impara a chiedere aiuto è il momento in cui si impara anche a parlare del proprio dolore.
Che il percorso per stare bene delle generazioni future sia più breve rispetto al mio.”