02 Mag Istruzione e salute mentale: quando studiare diventa fonte di malessere per la comunità studentesca
“Ognuno ha diritto ad un’istruzione”: così viene introdotto l’Art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu. La Costituzione italiana è altrettanto chiara nel definire l’istruzione come diritto inalienabile dell’individuo. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito scrive: “l’istruzione è quel passaggio che rende concreta l’eguaglianza tra le persone, permette a ciascuno di fare scelte consapevoli e di costruire un’esistenza dignitosa”.
Sempre più studentesse e studenti vivono però il percorso formativo con ansia, stress, timore di non essere all’altezza. Quello che dovrebbe essere un percorso di crescita verso la realizzazione delle loro ambizioni, diventa così tutt’altro che piacevole e costruttivo. Una recentissima indagine di Skuola.net che ha coinvolto 1100 ragazzi attualmente iscritti all’università, ha rilevato che 1 studente su 3 ha mentito almeno una volta sull’andamento della propria carriera universitaria per non deludere le aspettative. Il sondaggio ha mostrato inoltre che la famiglia è al primo posto nel far sentire gli studenti sotto pressione, ma anche gli stessi istituti sembrano richiedere standard difficili da sostenere.
A tutto questo si aggiunga il ruolo giocato dal sistema mediatico, che contribuisce alla costruzione di narrazioni che esaltano le eccellenze: rari studenti prodigio che ottengono molteplici lauree in tempi record e con il massimo dei voti; ragazzi che si iscrivono all’Università – o completano il ciclo di studi – prima del previsto. È la narrazione predominante in una società dove performance è diventato sinonimo di valore, dove l’errore non è ammesso e il giudizio è sempre dietro l’angolo.
La psicoterapeuta Stefania Andreoli, che ha da poco pubblicato un libro dal titolo Perfetti o felici dove parla proprio del disagio dei giovani adulti, afferma che “il terrore del giudizio è lo Stige dentro cui annegano” e che “i modelli di efficienza che gli sono stati proposti, se pure esistessero, sarebbero patologici. Se non li raggiungono, come è normale, diventano fragili.”
Il bisogno di essere ascoltati e la richiesta di aiuto da parte di questi giovani è evidente. Lo ha dimostrato anche un sondaggio dell’Istituto Piepoli per CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) effettuato a novembre 2021: rispetto al 2019, i giovani nella fascia 18-24 anni che si sono rivolti a uno psicologo sono aumentati del 36%, e i problemi scolastici (complice anche la pandemia) sono aumentati del 47%.
A questo punto non resta che chiederci quali modalità lo Stato può mettere in atto per porre rimedio ad una situazione sempre più problematica. Nonostante alcuni istituti e Università predispongano di sportelli dedicati all’assistenza psicologica, questi si rivelano spesso inadeguati e poco efficienti dal punto di vista tempistico e del personale, alle volte impreparato o insufficiente. Per questo motivo negli ultimi tempi si sta lavorando su un nuovo disegno di legge denominato “Chiedimi come sto”, che mette al centro la necessità di creare spazi efficienti e adeguati al sostegno psicologico.
A chiedere che lo Stato “consideri il benessere psicologico diritto fondamentale dell’individuo al pari della salute fisica” è stata proprio una studentessa, Alessandra De Fazio, presidente del Consiglio degli studenti di Unife, che è intervenuta in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico a cui era presente anche il Presidente Mattarella. La studentessa ha aggiunto: “Non siamo più disposti ad accettare senso di inadeguatezza, depressione o perfino suicidi a causa delle condizioni imposte da un sistema malato che baratta la persona per la performance”.
Le parole di Emma Ruzzon, rappresentante del Consiglio degli studenti di Padova, non sono diverse: “Con quale coraggio possiamo ascoltare il nostro bisogno umano di rallentare? Ci viene insegnato che fermarsi vuol dire deludere le aspettative sociali e molto spesso famigliari, fermarsi vuol dire rimanere indietro. Ma quand’è che studiare è diventata una gara?”.
Quello a cui stiamo assistendo è, dunque, una vera e propria corsa contro il tempo che l’intera società sta pagando con la perdita dei propri studenti. Dalle ultime stime, il tasso di abbandono nelle università italiane è di circa il 12%, con picchi del 15% in alcune regioni del Sud. E se solo nei primi mesi del 2023 già tre studenti hanno deciso di togliersi la vita perché non sono più riusciti più a reggere la pressione legata all’impegno universitario, significa che si tratta di un problema sociale molto serio e che non può più essere ignorato.
Di Erika Brunaldi e Ilaria Cirigliano
SITOGRAFIA:
https://www.miur.gov.it/diritto-allo-studio
https://www.skuola.net/news/inchiesta/universitari-crisi-suicidi-bugie-pressione-sociale.html
https://www.corriere.it/sette/attualita/23_marzo_24/noi-genitori-come-abbiamo-educato-ventenni-trentenni-adulti-radice-crisi-5b7330dc-c632-11ed-8319-4ca74abab2a3.shtml?refresh_ce
https://sondaggibidimedia.com/sondaggio-piepoli-psicologi/
https://espresso.repubblica.it/attualita/2023/03/22/news/psicologo_scuola_legge-393278533/
https://www.ansa.it/canale_legalita_scuola/notizie/2023/04/04/studentessa-a-mattarella-sistema-malato-basta-suicidi_33dd7714-bd56-469f-a16a-3b6ee11e9ca0.html
https://www.unipd.it/sites/unipd.it/files/2023/Intervento%20Emma%20Ruzzon.pdf
https://corriereuniv.it/piu-di-uno-studente-su-dieci-abbandona-luniversita-al-sud-si-arriva-al-15/
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