Piantare alberi non salverà il pianeta

di Lorena Gridelli

La crisi climatica non può essere risolta piantando miliardi di alberi, è necessario un processo di ripristino della biodiversità che coinvolga le comunità locali. 

Piantare miliardi di alberi è considerata una delle più importanti nature based solutions  per ridurre la concentrazione di carbonio rilasciata nell’atmosfera e contrastare il cambiamento climatico.

L’idea, fondata su uno studio condotto dall’ecologista Thomas Crowther, ha portato la creazione di numerose iniziative per il ripristino delle foreste, tra cui spicca la Trillion trees campaign lanciata dal World Economic Forum nel 2018.

Tuttavia, tali iniziative fondano le loro radici in una narrazione ingenua e semplificativa da parte dei media, narrazione che, come afferma lo stesso Crowther “rischia di minacciare l’impatto dell’intero movimento”.  Infatti, piantare alberi non servirà a salvare il pianeta se non si considera la salvaguardia e il ripristino degli ecosistemi fondati sull’esistenza della biodiversità.

Qui è racchiuso il punto fondamentale della questione, spesso oggetto di fraintendimento da parte dei media e di conseguenza, dell’intera società. Vi è infatti una differenza tra piantare monocolture e ripristinare le foreste. Le monocolture si basano sulla coltura intensiva di un’unica specie vegetale come le piantagioni di eucalipto o palme da olio in Sud America.

Tali piantagioni contribuiscono all’avanzamento del cambiamento climatico, emettendo più anidride carbonica di quanta ne assorbono e danneggiando la biodiversità.

Stando alle ricerche, la conversione delle foreste in palme da olio ha causato la perdita dell’83% della biodiversità, provocando la scomparsa di numerose specie vegetali e animali. La crisi della biodiversità è una minaccia per la popolazione mondiale in quanto altera i delicati equilibri che generano sostanze nutritive e materie prime fondamentali per l’uomo, causando insicurezza alimentare ed energetica.

In più, l’esistenza di questi sistemi agricoli uniformi comporta il dislocamento di intere comunità locali, comportando la violazione di diritti umani e ambientali.

Eppure, quasi la metà delle aree riforestate nel mondo è caratterizzata da monoculture, e organizzazioni internazionali come la FAO, ancora classificano le monocolture come foreste. È quindi evidente la necessità della riformulazione da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica del concetto di riforestazione.

Alla base di questo cambiamento vi è il coinvolgimento delle comunità locali danneggiate dalle monocolture, con un ruolo sempre più attivo nel progetto di ripristino della biodiversità. Queste ultime comunità – come per esempio le popolazioni indigene- hanno una conoscenza profonda del territorio e delle specie in grado di sopravviverci, e tramite una gestione locale, possono ridare vita a queste aree e riaffermare i propri diritti sui delicati ecosistemi minacciati dalla crisi climatica.