Intervista ad Alessandra Veronese

A cura di Giulia Armuzzi

Alessandra Veronese è tra le autrici delle “Lezioni Campane. I fondamentali della comunicazione.” trasposizione su carta di un percorso formativo organizzato dal CSV NapoliArea Formazione. Comm to Action le ha chiesto di approfondire il tema dell’identità del comunicatore, di cui la stessa Veronese si è occupata  nel corso di Formazione e nel libro.

Ci può dire in poche battute essenziali chi è il comunicatore e quali sono le sue mansioni in un’organizzazione non profit?

Il comunicatore innanzitutto è una figura professionale che ha delle competenze specifiche e che, soprattutto, nel terzo settore ha il compito di svolgere quel ruolo che nel volume abbiamo definito di tessitore sociale. Questo significa che deve essere in grado di costruire e di gestire relazioni, quindi sistemi di relazioni, di soggetti privati, pubblici e sociali attraverso strumenti e canali che vanno adeguati rispetto ai soggetti e ai pubblici con cui interagisce.  È importante dire che il comunicatore deve avere un obiettivo specifico, definito e misurabile.

Il ruolo del tessitore sociale diventa estremamente importante nel mondo del terzo settore perchè le non profit sono organizzazioni che per natura rispondono -cercano di rispondere- a bisogni che emergono dalla società e devono individuare delle soluzioni, delle alternative, dando delle risposte a questi problemi che la società pone.

In questo senso il terzo settore può avere un ruolo molto importante in quanto può innescare una modalità di innovazione paragonabile a quella delle piccole-medie imprese profit. In tutto questo, è importante che le soluzioni che il comunicatore insieme all’organizzazione tutta riesce a trovare siano rese pubbliche, riconosciute e legittimate non solo da chi ne beneficia direttamente ma anche dalle istituzioni stesse o più in generale dall’opinione pubblica. Quindi è importante saper fare bene e far sapere, e per questo serve un professionista della comunicazione. Personalmente mi piace vederlo come un tessitore sociale da un lato e come un facilitatore di relazioni dall’altro, che contribuisce a creare relazioni di fiducia tra organizzazione e pubblici dell’organizzazione.

 

Il tema dei fondamentali è molto presente nel vostro libro.  Perché è importante non scordarne mai la presenza e confermarne sempre la resa?

Il mondo della comunicazione, come altri ambiti professionali, è diventato molto più complesso e molto spesso in questa complessità si è talmente orientati a comprendere ciò che sta avvenendo, ad acquisire gli strumenti per poter leggere e gestire quello che sta accadendo e che inevitabilmente si acquisiscono nuove competenze più su di un versante tecnico piuttosto che sul versante di quello che interessa le soft skills e le basi, i fondamentali. La complessità ci porta a rincorrere la lettura e la gestione di scenari in velocissima mutazione e quindi siamo portati a trovare strumenti che ci aiutino in questo perdendo di vista però quelli che sono i mattoncini che fanno stare in piedi poi la casa. Per fare una metafora della casa è come se ci concentrassimo sulle rifiniture, scegliendo di rivestire casa con il cappotto o con infissi che ci consentano di risparmiare energia senza sapere se i mattoni che tengono su la casa sono in buone condizioni e di buona qualità.

 

Come studentessa di comunicazione riscontro sempre una grande distanza tra ciò che studio e ciò che ho avuto modo di applicare concretamente in qualità di coordinatrice di Comm To Action. In che modo ritiene che questo gap debba essere colmato?

I percorsi universitari, di tutte le discipline, si basano -è proprio una peculiarità del sistema italiano- molto sulla teoria. Teoria che costituisce la base fondamentale ed è importante conoscere. Dall’altra parte bisognerebbe fare uno sforzo per rimodulare l’apprendimento universitario, affiancando alla teoria anche la pratica.

Come? Le soluzioni sono diverse. Da un lato ci sono docenti universitari a contratto che sono professionisti che operano nel mercato e quindi nel loro approccio portano già un senso pratico: facendo riferimento, grazie a case history, alla gestione nel quotidiano della professione.

A mio avviso sarebbe molto utile, non che ciò non avvenga, irrobustire questa tipologia di apprendimento, magari non lasciando il famoso stage/tirocinio alla fine del triennio o del quinquennio,  ma inserendolo in ogni anno di corso rendendolo coerente con quello che si sta studiando.

Se c’è un anno in cui si approfondisce di più il tema dell’ufficio stampa, il tirocinio dovrà essere effettuato in quello specifico ambito proprio per ottimizzare e consolidare quello che si è appreso a livello teorico.

 

Ci da un consiglio di lettura e di approfondimento sui temi che ha trattato nel libro?

Ve ne offro volentieri più di uno:

 

Il volume “Lezioni Campane. I fondamentali della comunicazione.” a cura di Stefano Martello, con contributi di Emanuela Fregonese, Alessandra Veronese e Roberta Zarpellon, è scaricabile gratuitamente cliccando QUI!